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Bullismo: i genitori come possono aiutare i figli?
In passato ho già scritto di bullismo sulle pagine di questo blog, tuttavia le sempre maggiori richieste di aiuto che ho ricevuto da parte di diverse famiglie mi ha spinto a proporre ancora una riflessione ed alcune linee guida utili per prevenire il problema. Sempre più spesso, infatti, nel lavoro di psicologo scolastico capita di ricevere richieste di intervento in situazioni segnate da prepotenza e prevaricazione, sia tra le mura di scuola che al di fuori.
In questi interventi, nel confronto con le famiglie delle vittime, ritorna con frequenza la domanda su cosa possa fare la famiglia per aiutare il ragazzo a fronteggiare atti di bullismo.
Pur essendo la questione articolata e complessa, con alcuni elementi che travalicano le possibilità di intervento dei genitori, è pur vero che ricerca psicologica è riuscita a mettere in luce alcuni stili educativi che aiutano a prevenire il problema, riducendo il rischio di diventare vittima di bullismo.
1) lasciare il ragazzo libero di confrontarsi con i pari:
Una delle osservazioni su cui le diverse ricerche sono concordi nel riconoscere un importante fattore di protezione da atti di prepotenza è la possibilità per il bambino di aver vissuto esperienze di confronto diretto, libero ed autonomo con altri pari.
In sostanza, quello che la ricerca ha rilevato, è che chi ha avuto modo di “vaccinarsi” da eventuali prepotenze, imparando a vivere le relazioni con i pari cavandosela da solo, riesce più facilmente a contrastare atti di prepotenza. Quando, al contrario, un bambino viene iperprotetto (spesso proprio per paura che viva frustrazioni e prepotenze), diventa meno capace di difendersi, perdendo le innate capacità di autodifesa relazionale, finendo per realizzare proprio quelle paure che tanto la famiglia cercava di evitare, come nella più classica delle profezie che si autoavverano.
2) favorire l’individuazione autonoma di strategie
Un secondo aspetto molto importante per prevenire situazioni di prevaricazione è legato all’abitudine del bambino a trovare in autonomia soluzioni ai problemi che affronta. Naturalmente autonomia non significa solitudine, ma valorizzazione delle risposte che il bambino spontaneamente trova, anche quando, come adulti, ce ne vengono in mente altre che ci paiono migliori.
La possibilità, infatti, per il ragazzo di essere primo autore del proprio cambiamento diventa importante per una molteplicità di fattori: sentirsi competente e capace, abituarsi a pensare e a risolvere problemi, assumere un atteggiamento attivo e non dipendente di fronte ai problemi, permettergli di trovare soluzioni che sentirà come più in sintonia con se stesso, ecc.
Saper fare un passo indietro come adulti è inoltre molto importante anche per un importante fattore “ambientale”: non possiamo infatti trascurare che soluzioni buone ed efficaci nel mondo degli adulti, possono essere inadeguate o controproducenti in quello dei nostri figli, guidato da regole diverse. Ecco perché, pur animato dalle migliori intenzioni, il nostro intervento può risultare addirittura peggiorativo. Più che mai, invece, in questo ambito, vale il principio dello “sbaglia in fretta”: un errore fatto prima, ne eviterà uno fatto dopo, ma solo se avremo modo di confrontarci in prima persona con il fallimento e capire cosa lo abbia determinato.
3) ascoltarlo
Un’altra condizione molto importante che può aiutare i ragazzi a non divenire vittime di atti di bullismo è la presenza di un clima favorevole e disponibile, nel quale percepisce la possibilità di comunicare anche questioni spinose e difficili in tutta sicurezza.
Frequentemente la principale difficoltà che gli adulti sperimentano nello svolgere il proprio compito di ascoltatori, è quella di riuscire a mantenersi in questo ruolo senza passare a quello interventista, anche solo dispensando suggerimenti, interpretazioni, incoraggiamenti o predicozzi. Tutti questi interventi, per quanto svolti a fin di bene e con le migliori intenzioni, sottraggono al ragazzo spazio di espressione e, quindi, di ragionamento ed intervento sul problema.
Quali interventi allora possono essere opportuni? Tutti quelli che invitano il ragazzo ad esprimere il proprio punto di vista, la propria esperienza, e le sue idee sul problema, aiutandolo a trovare le proprie soluzioni a partire proprio dai suoi vissuti.
4) facilitare il riconoscimento delle proprie emozioni
Si è osservato come una delle condizioni più frequenti nelle vittime di atti di bullismo sia la cosiddetta “anestesia emotiva”: in pratica la persona risulta meno capace di sentire, riconoscere e comprendere le proprie emozioni. Sebbene una parte di tale meccanismo possa essere una conseguenza degli atti di prepotenza subiti, al contempo una maggiore competenza sul versante emotivo aiuta i ragazzi a reagire con maggiore tempestività, a comprendere con più efficacia i propri vissuti e trasmettere anche richieste di aiuto ed intervento a chi hanno attorno (adulti o compagni che siano).
Inutile aggiungere quindi i vantaggi che questa competenza offre a chi la possiede, ed il grande valore preventivo di situazioni di disagio. Ma come si può educare un ragazzo a questa “sensibilità emotiva”? Il metodo più immediato è aiutandolo a riflettere su come si senta, quali emozioni provi, magari non accontentandosi, alla domanda “come stai?” della risposta standard “normale”. Certamente quanto più saremo noi stessi abituati a parlare anche delle nostre emozioni e di come viviamo alcune situazioni, tanto più spianeremo la strada anche ai nostri figli in questo compito.
5) fidarsi di lui
Volontariamente ho tenuto in fondo quello che probabilmente è l’ingrediente più importante di uno stile educativo che aiuti il ragazzo a sviluppare la competenza personale necessaria ad affrontare atti di prepotenza: un atteggiamento di fiducia che faccia da collante e sottofondo alle precedenti condizioni di cui ho parlato.
Credere nella sua possibilità di farcela da solo, di affrontare le situazioni in autonomia (che, ripeto, non significa solitudine, ma indipendenza, libertà anche di sbagliare) e superarle con efficacia anche senza il nostro intervento, è l’elemento fondamentale, quello che crea la premessa perché il ragazzo si senta capace, e si dia quindi la possibilità di affrontare la situazione.
Permettere al ragazzo di crescere in un contesto con questi elementi non lo mette al riparo dalle prepotenze, è ovvio, ma gli offre la possibilità di sviluppare e consolidare quelle competenze relazionali innate che lo possono rendere capace di affrontare con efficacia il mondo che lo aspetta.