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Spesso si pensa che serenità e conflittualità siano due dimensioni contrapposte e inversamente proporzionali: essere “la famiglia del mulino bianco” viene spesso indicato come un ideale irraggiungibile ma desiderato, ambito.

La ricerca psicologica rivela però una realtà molto diversa: i gruppi che registrano il maggior benessere sono quelli nei quali i conflitti possono essere espressi liberamente sia che si parli di contesti familiari che lavorativi. Ammettere e “legittimare” un conflitto di coppia, o tra genitore e figlio, piuttosto che tra colleghi permetterebbe di vivere più serenamente in quel contesto.

Indipendentemente dal contesto osservato, più il gruppo è abituato ad affrontare conflitti, più diventa capace di gestirli, più riesce a ridurre il livello di aggressività al proprio interno e quindi a sopravvivere. Non solo: in questi gruppi si lavora meglio, sono più produttivi e registrano un maggior livello di benessere personale.

Al contrario nei gruppi nei quali il conflitto viene eluso, minimizzato o evitato (magari proprio cercando di nasconderlo dietro un clima cordiale), così come in quelli in cui viene impedito, si riscontra un maggiore livello di negatività, un sentimento sotterraneo, più difficile da affrontare dell’aggressività, e quindi tendenzialmente più logorante. I membri di questi gruppi si sentono ovviamente meno valorizzati, si riconoscono meno nel gruppo e disinvestono.

In pratica: meno si dà libero corso al conflitto, più questo ci perseguiterà.

Traducendo il discorso per quanto riguarda un conflitto di coppia o in una famiglia ciò significa che quanto più divergenze e visioni diverse trovano spazio di emersione, tanto maggiore sarà il benessere reale in casa. Tanto meno si ha paura di litigare, tanto più ci si vaccinerà dalla repressione del conflitto e si imparerà a gestirlo e superarlo.

Perché il conflitto sia costruttivo diventa importante che riesca a restare “un conflitto aperto”, cioè che offra a tutti i contendenti la possibilità di esprimere le proprie diverse posizioni, ma anche di assumersi un ruolo ed una responsabilità nella soluzione, ben sapendo che ci possono essere situazioni in cui una via di mezzo non è possibile, rendendo necessario che qualcuno faccia un passo indietro.

Dare spazio al confronto non significa rendere sempre tutti contenti (evidentemente un’opzione impossibile), ma fare in modo che ciascuno senta comunque di aver avuto modo di esprimersi.

I fattori che permettono creare un clima di questo tipo sono molteplici, alcuni individuali, altri contestuali: ciò significa che la buona volontà del singolo può non essere sufficiente a creare il clima ottimale (pur essendo comunque una premessa indispensabile), ma che può essere necessario un percorso di tutto il gruppo coppia, famiglia, o equipe che sia.

Talvolta il percorso può essere più lungo ed impegnativo, richiedendo tempo e messa in gioco da parte di ciascuno.

A tutti viene chiesto di esporsi e lasciar esporre e accettare, laddove il contesto lo renda possibile, che le decisioni non negoziabili non vedano uscire sempre lo stesso vincitore, pena il ritorno ad un clima nel quale, alla fine, i perdenti finiranno per minare le fondamenta del lavoro e avere la propria rivalsa su un contesto (lavorativo, familiare, di coppia ecc.) dal quale non si sentono apprezzati e riconosciuti.

Come dire: litigate, e vivete felici.

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