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Il 10 ottobre si è celebrata la giornata mondiale per l’obesità, una manifestazione indetta per promuovere una riflessione ed una sensibilizzazione su uno dei problemi in maggiore espansione in tutto il cosiddetto “primo mondo”.

Quello dei disturbi alimentari è un campo di osservazione ormai da decenni al centro di una particolare attenzione non solo clinica, ma anche sociale, data la stretta interrelazione riscontrata tra cultura occidentale e diffusione dei disturbi alimentari, siano questi di forma anoressica, bulimica, o altro. Molti paesi che non hanno mai avuto alcun precedente clinico per questo tipo di problemi psicologici, hanno cominciato ad incontrarli nel momento in cui è iniziato un processo di occidentalizzazione della cultura e dello stile di vita.

Per quanto riguarda il nostro paese l’allarme che con sempre maggiore attenzione viene sollevato riguarda in particolare il problema dell’obesità, soprattutto quella infantile, non solo per l’aspetto di problematica immediata che questo comporta, ma anche per le significative ricadute a lungo termine del problema, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Il trattamento di questi disturbi è stato ormai da anni affidato ad un approccio integrato, che prevede la collaborazione di più figure ad un progetto terapeutico multiforme che passi regolarmente da un doppio canale medico e psicologico, al fine di occuparsi di entrambe le componenti implicate nel problema. Molto frequente è poi il ricorso all’intervento chirurgico (ovviamente in età post-adolescenziale), che amplia ulteriormente il campo di figure implicate nella cura.

Da un punto di vista psichico l’obesità appare un problema particolarmente articolato per le molteplici sfaccettature che assume. Se certamente una componente fondamentale è quella che precede il problema, parlo delle problematiche che il soggetto affronta con il ricorso incontrollato al cibo, dall’altra l’essere obesi determina una tale incidenza sulla vita quotidiana e sull’immagine sociale della persona da diventare una condizione fondamentale del suo essere, una nota identitaria fortissima. Il modo in cui la persona vive il suo modo di essere nella società, di vivere i rapporti amicali, sentimentali, lavorativi, ecc. passa molto spesso dall’essere “l’obeso”.

Questa dimensione è talmente radicata nell’identità personale che non sono infrequenti i casi di persone che, dopo aver ottenuto l’agognato dimagrimento, magari tramite interventi chirurgici e dolorosi iter di cura, vivono dei veri e propri sconvolgimenti personali, faticando a riconoscere il se stesso attuale con quello precedente, rifiutando parti importanti della propria vita precedente.

Naturalmente non tutte le situazioni possono essere ascritte a questa casistica, ma con sempre maggiore insistenza emerge come il fulcro del problema obesità non stia in un fattore fisiologico ma psicologico e come nella lunga durata dei risultati ottenuti la presenza di un intervento psicologico abbia un impatto estremamente elevato.

Spesso tale percorso può prevedere interventi rivolti anche alla coppia o alla famiglia, non solo per il cambiamento richiesto dal nuovo stile di vita della persona all’interno di questi nuclei (un esempio classico riguarda le modalità con cui iene vissuta e gestita la dieta prescritta in famiglia), ma anche per la trasformazione dell’immagine e dei ruoli familiari rispetto al problema.

Sebbene da una parte i risultati raggiunti nell’efficacia del trattamento siano incoraggianti, dall’altra i numeri sempre in aumento di persone coinvolte nel problema segnalano la necessità di una promozione di una maggiore cultura e sensibilità sui problemi connessi con la sfera alimentare in ottica preventiva: una questione che ha a che fare non solo con ragioni psicologiche, ma anche ecologiche ed economico sociali.

Una sfida che riguarda tutti.

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