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Per qualcuno è un macigno, per altri pare essere uno sconosciuto. Cos’è il senso di colpa? Come si fa a capire qual è la giusta dose? E come si fa a non restarci intrappolati?

Il senso di colpa è una delle emozioni più importanti della nostra vita, è quel sentimento che ci dice quando non siamo come vorremmo essere, soprattutto nel rapporto con gli altri, e per questo può essere definita, insieme alla vergogna, l’emozione sociale per eccellenza.

Si può essere arrabbiati, tristi, felici o sorpresi anche indipendentemente da un’altra persona, mentre è impossibile sentirsi in colpa al di fuori di un rapporto: ci si sente in colpa perché si ferisce o delude qualcuno, magari fisicamente assente, ma comunque presente dentro di noi.

Come spesso succede l’importanza di qualcosa diventa più evidente quando manca: per quanto riguarda questa emozione sono purtroppo noti casi estremi in cui persone non provavano rimorso di fronte a crimini efferati, ma che anzi apparivano “di ghiaccio” di fronte agli esiti delle proprie crudeltà.

Questi esempi mettono in luce il valore che ha questo sentimento, che si rivela essere un vero collante dei rapporti sociali, attivandosi per prevenire o rimediare a dei comportamenti che potrebbero compromettere o distruggere il nostro rapporto con il gruppo.

In alcuni casi, come ho detto, questo sentimento diventa però un vero macigno: per alcune persone si può dire che il “nervo della colpa” sia sempre scoperto, ragione per cui possono finire per farsi prevaricare dagli altri pur di non ferirli secondo la logica del “meglio vittima che carnefice”, oppure si riducono “a zerbino” nel tentativo di riparare ad un torto.

Ovviamente entrambi gli estremi si questa scala diventano problematici: il primo per il gruppo, il secondo per il singolo.

Ma come capire quale può essere “la giusta dose” di rimorso?

Chiaramente la risposta deve prendere in considerazione entrambi i versanti: una parte dipende da noi, da quanto ciò che abbiamo fatto rompe le nostre norme e valori, dall’altra dipende dall’esterno, da quanto è costoso il danno compiuto.

Le persone schiacciate dal senso di colpa generalmente tendono a sovrastimare soprattutto la prima componente, cioè la gravità dell’infrazione morale compiuta, mentre le persone più indifferenti a questo sentimento spesso minimizzano il costo di quanto fatto (“non ho ammazzato nessuno…”).

Per entrambi il confronto con “gli altri” (intesi generalmente come un insieme indistinto, non come persone identificate chiaramente) diventa determinante, perché vengono visti ora come dei giudici casti e severi, ora come dei furbastri ipocriti.

Trovare un equilibrio tra questi due estremi non è certamente facile: alleggerire chi si paralizza o rendere consapevole chi si assolve troppo facilmente è l’obiettivo da perseguire in questi casi.

Il lavoro con i bulli, ad esempio, passa spesso proprio dal far prendere contatto con la sofferenza inflitta, facendo sì che che venga riconosciuto il valore di quanto commesso, mentre in altri casi può essere necessario relativizzare e contestualizzare quanto accaduto per evitare che la persona distrugga la propria autostima sulla scia di quanto compiuto.

Ma cosa si può fare per superare il senso di colpa in modo positivo?

In entrambi i casi una componente fondamentale per disinnescare questo meccanismo e superare questo sentimento passa dalla riparazione: rimediare al male compiuto in modo diretto o indiretto, concreto o simbolico, diventa una prospettiva necessaria anche per permettere alla persona di ammettere la propria colpa, accettarla.

Non sono infrequenti i casi, infatti, in cui l’indifferenza derivi non da un contesto senza norme o regole, ma da uno con un sistema normativo troppo pesante, paralizzante, al quale la persona di ribella “per sopravvivere”. Aiutare a uscire da questa empasse, vedendo la strada per rimediare, permette di non sentire la propria ammissione come una trappola, ma un passaggio necessario, oltre il quale ci aspetta una relazione migliore con gli altri.

In questo modo il senso di colpa può diventare come un sarto che ricuce gli strappi, permettendoci di indossare relazioni più capaci di ripararci dal freddo della solitudine.

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