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Marzo 26, 2018La fine di un rapporto di coppia è sempre un momento difficile e doloroso. Le cose diventano poi ancora più impegnative quando sono presenti sulla scena dei figli che, pur testimoni di momenti di tensione e scontro, possono vivere con angoscia l’idea di una separazione dei genitori.
Come parlare ai figli della separazione? Quando è bene farlo, e chi deve occuparsene?
In che modo accompagnarli ad affrontare i cambiamento?
Certamente un evento come la separazione oggi è molto più frequente e pensabile di quando sia stato nel passato: oggi famiglie separate o ricomposte sono estremamente frequenti, talvolta anche con ricomposizioni multiple (cioè con entrambi i coniugi che hanno già avuto alle spalle almeno un’altra separazione).
Questo ovviamente non riduce la quota di sofferenza legata all’evento, sebbene lo può porre, almeno in certi casi, entro certi limiti di maggiore comprensibilità.
Senza dubbio è bene precisare che non sempre e non necessariamente “separarsi” significa “traumatizzare” un figlio: non sono infrequenti i casi in cui sono i figli stessi a chiedere a genitori litigiosi di separarsi, magari avendo visto l’esperienza di un amico risolversi in meglio, o semplicemente perché non riescono più a sopportare di vivere in un contesto di guerra costante.
Questo ci porta, tanto per cominciare, a porre due premesse importanti:
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talvolta i figli possono già sentire “odore di separazione” ben prima che gliene parliamo noi;
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la “soluzione separazione” può rappresentare per un figlio una via accettabile o addirittura preferibile rispetto alla tensione familiare in cui si sente immerso.
Penso quindi che possa risultare abbastanza chiaro che personalmente credo molto poco alla frase “ci separeremmo, ma stiamo insieme per i figli”: credo che in questi casi, proprio per il bene dei figli, sarebbe bene ammettere a se stessi e agli altri, che è bene concludere un rapporto che non ha ragione di essere, e non porre i figli nella terribile posizione di “sequestratori” dei genitori, che “sarebbero liberi di rifarsi una vita, se solo non ci fossero i figli tra i piedi”.
Chiarito questo, è bene considerare poi alcune accortezze nell’affrontare il discorso, che possono favorire un’evoluzione della situazione più sicura per i figli, il cui compito sarà comunque quello di riuscire a mantenere un legame con entrambi i genitori (laddove non esistano condizioni di impedimento, come violenze familiari, o altro), pur nel nuovo assetto familiare.
Quali sono queste accortezze?
(una precisazione: data l’impossibilità di esporre considerazioni universalmente valide, proprio per la vastità e complessità di situazioni, analizzerò una situazione-tipo, a partire dalla quale orientarsi poi per i singoli casi)
Un primo aspetto importante riguarda la tempistica: quando parlare ai figli dell’idea di separarsi.
Chiaramente un’idea come questa è bene che sia messa sul tavolo quando questa è già stata decisa da parte dei coniugi, non quando è ancora un’ipotesi da valutare.
Dal momento in cui viene comunicata questa cosa è bene che prima della messa in atto effettiva della separazione passi un tempo sufficiente perché il figlio metabolizzi l’idea, senza tuttavia che questo si protragga a tempo indefinito.
In sostanza il “momento giusto” per farlo sono poche settimane prima che il genitore uscente lasci la casa.
In queste settimane il figlio (o i figli) possono comprendere meglio quello che sta accadendo, porre le domande che sentono sorgere, prepararsi al momento riorganizzando i rapporti con ciascuno dei due genitori.
In questo spazio di tempo è dovere dei genitori rassicurarli rispetto alla prosecuzione del rapporto tra loro, mostrando quale sarà il posto del figlio nella nuova vita del genitore: quale sarà la sua camera, quale il momento che sarà riservato al loro rapporto, ecc.
I principali rischi che è bene cercare di scongiurare in questo frangente riguardano da una parte la possibile auto-colpevolizzazione da parte di un figlio nella fine del rapporto (meno frequente di quanto si pensi, in realtà) e la triangolazione del figlio nel conflitto dei genitori, cioè il fatto che il figlio si schieri (se non lo ha già fatto) per l’uno contro l’altro.
Per evitare questo è bene che i genitori evitino di entrare nelle specifiche motivazioni relative alla loro decisione, presentandola come “una decisione a cui siamo arrivati insieme, nell’interesse di tutti, per cui abbiamo pensato che sia meglio che il papà e la mamma vadano a vivere ognuno per conto suo da adesso in poi”.
Chiaramente, in situazioni in cui il conflitto si sia già palesato o in cui i figli abbiano già assistito a scontri tra i genitori, è molto probabile che esistano già degli schieramenti di un qualche tipo.
Al contempo è bene sempre cercare di evitare che la separazione diventi l’occasione per cementare anche questi schieramenti, magari arrivando anche a spaccature tra fratelli (uno pro-mamma, l’altro pro-papà), cercando il più possibile di non entrare in questioni di torti o ragioni davanti ai figli.
Questo ci porta all’altra domanda: chi deve parlare di separazione?
La modalità ottimale è che siano entrambi i genitori ad affrontare il discorso congiuntamente, trasmettendo l’idea che la decisione sia di entrambi, ed evitando anche in questo caso di entrare nel dibattito su responsabilità e colpe.
Ciò non toglie che ci possano poi essere momenti distinti nei quali ciascuno dei due genitori risponde alle domande del figlio, soprattutto quelle riguardanti il nuovo assetto che il rapporto dovrà prendere, ed evitando di parlare dell’altro genitore e di questioni della coppia.
È chiaro che una variabile determinante è data anche dalla reazione del figlio stesso alla nostra comunicazione. Sia che la sua sia una reazione di tristezza, sia che sia rabbiosa, sia che sia di apparente indifferenza, è sempre bene rispettarla e lasciare che possa essere espressa liberamente (a patto che il ragazzo non arrivi a far del male a se stesso o ad altri).
Dare il tempo di metabolizzare quanto ascoltato e poterlo riprendere successivamente è spesso necessario, rispettando il diritto di manifestare la rabbia come sente liberamente.
Quello che è importante tenere a mente è che la separazione è un evento che coinvolge i figli solo in termini indiretti: è molto più probabile che ad essere colpito sia il coniuge che la subisce, ma che magari, per qualsiasi ragione, non riesce a chiedere aiuto o ad esprimere il proprio bisogno.
Un errore che quindi è bene evitare è quello, ad esempio, di mandare il figlio in “psicoterapia preventiva” (“volevamo farlo venire a parlare con lei perché ci stiamo separando”), una decisione che potrebbe trasmettere il messaggio paradossale che “devi per forza avere un problema, altrimenti c’è qualcosa che non va”.
Tenere gli occhi aperti sulla situazione e sullo stato d’animo è necessario, ma esistono casi in cui prevenire non è meglio che curare. In passaggi come questo è anzi bene tenere presente che i veri interlocutori che il figlio desidera sono i genitori, a cui chiedere chiarimenti, conferme, rassicurazioni, o a cui esprimere rabbia.
Una terza persona, anche quando terapeuta, potrebbe essere percepita come “messa lì per scaricare la patata bollente”, o peggio ancora per patologizzare il figlio.
La strada migliore in questi casi è, al contrario, fare il possibile perchè ciascuno possa trovare la sua nuova posizione nell’assetto familiare trasformato, mettendo in gioco se stesso e gli altri familiari per trovare il nuovo equilibrio.