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Si chiama “alienazione parentale” ed è una delle situazioni più drammatiche che possano verificarsi come “effetto collaterale” di una separazione: coma nasce? Come riconoscerla? Ma soprattutto: come si può intervenire?

Vediamo una situazione prototipica:

Marco ha dodici anni ed ha sempre avuto un rapporto splendido con il padre. La cosa è cambiata drammaticamente da alcuni mesi, da quando cioè la crisi coniugale ha portato i genitori a separarsi.

Da quel momento il ragazzo ha iniziato a portare attacchi feroci al padre che fino a poco prima adorava, accusandolo perfino di cose che lui non ha mai fatto e finendo per desiderare di rompere del tutto i rapporti con lui fino a farsi togliere il cognome a favore di quello della madre.

Inutile chiedere ai due ex coniugi: da una parte il padre è fermo nel decretare la responsabilità materna nell’ostilità del ragazzo, cosa resa evidente dal fatto che “all’improvviso mio figlio ha iniziato a parlare esattamente come la mia ex moglie”, mentre dall’altra parte la madre ritiene che semplicemente oggi il figlio, uscito dalle illusioni infantili, abbia aperto gli occhi sul padre.

Il coro familiare intorno ripete la litania del proprio schieramento a favore dell’uno o dell’altro, aumentando ulteriormente l’asperità del conflitto, con ripercussioni evidenti sul processo di separazione e la possibilità di trovare una via consensuale alla risoluzione della questione.

L’alienazione parentale consiste proprio in questo processo di rottura spesso insanabile del rapporto genitore-figlio a cui segue l’instaurazione di un clima ostile fino alla violenza verbale (più raramente anche fisica) da parte dei figli verso un genitore.

La casistica sempre più frequente ha portato a una revisione di questo problema relazionale: inizialmente vista come una sindrome legata soltanto alla posizione del figlio rispetto al genitore, si è portati oggi a riconoscere l’aspetto più articolato e complesso del problema, nel quale l’antagonismo agito da parte del minore è solo la punta di un iceberg che coinvolge tutto il nucleo familiare: ex coniugi e famiglie estese comprese.

Il nuovo modo di vedere a questo problema, e quindi di intervenire su di esso, ha messo in luce proprio il ruolo giocato da tutti gli attori della scena familiare. Tanto il “genitore alleato” del minore, tanto quello “attaccato” (uso questa dicitura solo in senso indicativo, non assoluto), così come il clima familiare caratteristico del nucleo allargato, hanno un ruolo determinante nella costruzione del quadro complessivo che deve essere riconosciuto e preso in considerazione se si vuole comprendere e risolvere la situazione.

È bene dire che il fattore tempo gioca spesso un fattore determinante per la possibilità di risoluzione o miglioramento della situazione: tempestività e prevenzione rappresentano sicuramente un valore aggiunto per un problema che, al contrario, se trascurato, rischia di diventare irreversibile a causa delle molteplici implicazioni che determinano spesso un’escalation del conflitto ed una fossilizzazione delle posizioni.

La visione più articolata del processo fa anche sì che la sua risoluzione non possa più essere ascritta ad un soggetto solo, ma inserita in una cornice più ampia, che comprenda il nucleo familiare nel suo complesso.

Ovviamente l’indicazione più utile per chi ravvedesse una situazione di questo tipo all’interno del suo nucleo familiare è quella di contattare quanto prima uno specialista, rivolgendosi ad un consultorio o ad un terapeuta che possa aiutare a compiere una valutazione per procedere quanto prima ad un intervento che possa favorire la risoluzione del problema prima di un suo inasprimento.

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