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La conoscenza è lo strumento principale per poter affrontare il mondo con efficacia, per questo la battaglia per la scolarizzazione diffusa è stata determinante per la costruzione di una società democratica.

Per secoli la capacità di leggere e scrivere è stata un privilegio di pochi: scribi, dottori e letterati in genere rappresentavano la vera casta che aveva accesso al potere.

Tutto questo ha avuto fine con l’avvento della democrazia che, basata sulla partecipazione di tutti alla presa di decisioni, ha richiesto la diffusione delle competenze per accedere al dibattito politico, alla partecipazione collettiva. Da qui la lotta per l’istruzione.

L’analfabetismo (cioè il non saper leggere, scrivere e fare calcoli) è ormai stato sconfitto, almeno nelle società “occidentali”: la stragrande maggioranza della popolazione legge, scrive e conosce (almeno in linea teorica) le principali formule matematiche.

Malgrado questo importante risultato però il problema dell’alfabetizzazione pare essere tutt’altro che risolto. E non parlo delle sempre più frequenti problematiche nell’apprendimento della letto-scrittura (i cosiddetti disturbi specifici dell’apprendimento), quanto di due nuove forme di analfabetismo emergenti: l’analfabetismo di ritorno e l’analfabetismo funzionale.

In cosa consistono queste due problematiche?

Con analfabetismo di ritorno si intende la perdita di capacità di lettura, scrittura e calcolo non per mancanza di apprendimento di queste funzioni, ma per il loro “deterioramento da disuso”.

Così come per qualsiasi altra attività, anche la lettura, scrittura e competenza matematica richiede esercizio, costanza continuità. La perdita di questo esercizio significa un peggioramento qualitativo.

Ciò non significa ovviamente che una persona non riconosca più le lettere o non sappia più fisicamente scrivere una parola, ma che si può stancare prima, ad esempio, e riuscire a rimanere concentrato solo per brevi testi, o magari che riesce a comprendere solo testi meno articolati, più semplici.

L’analfabetismo funzionale, invece, riguarda la capacità di utilizzare correttamente le informazioni che si hanno a disposizione.

Distinguere un testo ironico da uno serio, un testo affidabile da uno non affidabile, uno scientifico da uno divulgativo è una competenza necessaria e fondamentale, perché chi non riesce a farlo non può agire correttamente.

Questo tipo di problema comporta il fatto che chi riceve delle informazioni non riesca a “incasellarle” nella maniera corretta, equiparando pettegolezzi a dati di fatto, finendo per basare il proprio agire su informazioni scorrette.

Il problema maggiore con questo tipo di problemi è il fatto che, a differenza dell’analfabetismo primario, in cui il soggetto “sa di non sapere”, cioè è consapevole del fatto di non aver mai appreso a leggere, scrivere o contare, in questo caso generalmente la persona non si accorge del problema.

Un po’ come accade per la macula cieca, il soggetto non si rende conto del “vuoto”.

Senza voler entrare troppo in discorsi sociologici, possiamo sottolineare come il sovraffollamento informativo attuale non faciliti certamente una corretta ponderazione delle fonti e delle informazioni disponibili.

Il fenomeno, per quanto possa finire per connettersi al problema della disinformazione, non è sovrapponibile a questo: “disinformazione” significa circolazione di informazioni false o imprecise (è quindi un problema di chi emette le informazioni), mentre l’analfabetismo riguarda chi riceve queste informazioni, perché non sa interpretarle correttamente.

Che fare?

Purtroppo, come può essere immaginabile, non esistono soluzioni semplici per questo problema.

Forse l’unica strategia applicabile è quella di cercare il più possibile di mantenere attiva la propria mente, offrendo sollecitazioni, stimoli, mantenendo una certa abitudine a leggere, scrivere, fare conti, non affidandosi costantemente alle “protesi della mente” che sono i dispositivi elettronici.

Molteplici ricerche, per altro, sottolineano come queste funzioni rappresentino una delle migliori ginnastiche la mente, che rimane in questo modo più allenata e vitale, meno propensa a deteriorarsi.

Come dire: ciò che fa bene alla nostra società (avere cittadini capaci di leggere la realtà), in fondo fa bene anche al singolo.

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