Tra sapere e fare: cosa mi impedisce di cambiare?
Novembre 27, 2017Separazione: come parlarne ai figli
Febbraio 7, 2018Certamente molti di voi avranno già visto al cinema Coco, l’ultimo cartone animato targato Disney-Pixar.
La storia narra le avventure di Miguel, un ragazzino messicano, attraverso la città dei morti alla ricerca di un antenato che gli offra la sua benedizione per tornare tra i vivi, dalla sua famiglia.
Personalmente ho trovato questo film ricco di spunti interessanti che provo a riassumere con voi.
Siccome vorrei offrire una riflessione valida sia a chi ha già visto il cartone animato, che per chi invece non lo ha ancora fatto, eviterò qualsiasi tipo di anticipazione, per cui tranquilli: non dovete temere spoiler.
Gli spunti proposti dal film possono essere diversi, tuttavia, per non dilungarmi troppo, ho pensato di soffermarmi su tre temi: il valore dei legami familiari, ricordo e memoria e infine il delicato tema della morte.
Per quanto riguarda il tema familiare, esso compare, seppur nascosto, fin dal titolo del film: Coco.
Chi è Coco?
Non il protagonista, che infatti si chiama Miguel.
Coco è la sua bisnonna: una vecchina decrepita, paralizzata su una sedia a rotelle, indementita e confusa in una vecchiaia che scivola verso un’inevitabile fine. L’ambiente è messicano, ma potrebbe essere una qualsiasi famiglia di qualunque parte del mondo (se non fosse che abitualmente una persona nel suo stato nel nostro paese si troverebbe molto probabilmente in un ricovero…).
La famiglia di Miguel è una famiglia-azienda che, come sempre succede in questi casi, è totalmente organizzata attorno all’attività che la sostiene: una calzoleria fondata dalla trisavola di Miguel, Imelda, che la trasmise poi alla nipote (nonna di Miguel) e con essa il timone della famiglia.
Il marito di Imelda, padre di mama Coco, era un musicista che abbandonò la famiglia per seguire la sua passione e sparendo per sempre, cosa che non venne mai perdonata da Imelda (e dal resto della famiglia poi) che bandì per sempre ogni suo ricordo dalla casa familiare e con esso, qualsiasi cosa che possa avere a che fare con la musica.
Chiunque abbia un figlio adolescente sa che nulla rende più eccitante una cosa che il suo divieto, ragion per cui Miguel, ragazzino sveglio e intraprendente, sviluppa una passione smodata per la musica, che coltiva di nascosto da tutti. La vicenda prende le mosse proprio dal momento in cui la nonna scopre la passione proibita del ragazzo e ne distrugge la chitarra.
La situazione narrata non ha nulla di iperbolico o irrealistico, ma descrive invece un quadro molto comune soprattutto in famiglie con un forte senso di appartenenza e legame.
Un tipo di rapporto come questo, se da una parte offre sostegno e protezione, al contempo diventa soffocante nel momento in cui ostacola la possibilità del soggetto di esprimere se stesso, precludendo la possibilità di individuarsi e trovare la propria strada perché magari questa si scontra con un tabù familiare.
Il rifugio si trasforma in una prigione, e l’“amore” diventa il peggior vincolo perché “fatto a fin di bene”: ciascuno si sente tradito dall’altro, incompreso e solo.
Il tema è sviluppato molto bene, soprattutto nel rapporto tra Miguel e la trisavola Imelda: che inizialmente chiede al nipote la rinuncia alla sua passione, in un secondo tempo limita la richiesta all’amore della famiglia, ed infine libera il pronipote da qualsiasi vincolo, avendo compreso che è solo questo il tipo di rapporto in cui un legame può essere autentico: quando esso non è prescritto, ma scelto.
Il secondo tema dominante nel film è quello della memoria.
Il film, ambientato in un contesto ed un momento storico diverso dal nostro, presenta una situazione in cui la memoria permea la quotidianità, creando quasi un parallelismo tra passato ricordato e presente vissuto, tanto che la famiglia continua a mantenere regole e prassi solo perché queste sono state tramandate così.
Oggi il rapporto con la memoria e il ricordo è molto diverso, sia per ragioni “tecniche” (siamo meno abituati a ricordare per il ricorso a supporti tecnologici) che per ragioni socio-culturali per cui si è più proiettati sul presente e sul futuro, che non sul passato, cosa che porta ad un impoverimento delle memorie familiari.
Certo, le nuove organizzazioni familiari, con nuclei ricomposti in vario modo, rendono a volte difficile delineare con chiarezza anche solo cosa si intenda con “famiglia”, tuttavia la perdita di memoria comune non vale solo per le famiglie, ma anche per la memoria sociale: sempre meno persone ricordano i nomi dei sette re di Roma, o cosa si festeggi il 4 novembre.
Come affronta il tema il film?
Intanto la storia avviene nel “dia de muertos”, cioè nel giorno dei morti, il 2 novembre: una ricorrenza sociale, e pone da subito l’attenzione su una figura “sullo sfondo”, la bisnonna Coco, cioè la memoria vivente (ormai quasi perduta) della famiglia. È tra le cose che rischiano di andare perdute con lei che si nascondono però anche gli elementi, i ricordi che possono salvare tutta la famiglia stessa, sbloccarla dall’empasse in cui è rimasta incastrata.
Al contempo i ricordi della nonna acquisiscono senso dentro la cornice della ritualità che connette tutti i membri della famiglia, ma anche ogni famiglia con le altre e con la società stessa.
In questo senso potremmo pensare a quante volte capiti di scoprire come, proprio nei “saperi dimenticati”, si trovassero soluzioni più efficaci di quelle proposte dalla modernità a problemi comuni: un discorso che quindi vale tanto per la memoria familiare che per quella collettiva.
L’ultimo tema trattato, quello della morte, merita di essere introdotto meglio.
Il film, effettivamente, da un certo punto di vista non parla della morte più di quanto non lo faccia “Ghostbuster”.
In Coco non si vedono morti, ma “fantasmi”: il tema non è quindi trattato come distacco o perdita, quanto piuttosto come necessità di un rapporto con chi è defunto, non solo come puro ricordo, ma anche come nuova relazione con lui.
Non dico nulla di esoterico se affermo che “i nostri cari defunti vivono accanto a noi e dentro di noi”: l’elaborazione stessa del lutto consiste nella costruzione di una nuova possibilità di rapporto con una persona che non è più fisicamente con noi, ma che possiamo continuare a sentire presente nella nostra vita.
Se la morte è il vero tabù della nostra società, al contempo costruzione di una relazione con familiare e amici defunti rimane una necessità indipendentemente dai tabù attuali.
Se la ritualità religiosa ha offerto per secoli un modo per mantenere questo rapporto, oggi a forme spirituali si vanno affiancando anche nuove e curiose modalità “tecnologiche”.
Pochi mesi fa, alla scomparsa di un amico, ho assistito a quello che mi è parso un vero e proprio “funerale social”: molti conoscenti hanno postato per settimane messaggi di addio e cordoglio sulla sua pagina Facebook, mentre altri hanno condiviso pubblicamente ricordi e immagini che lo riguardavano. Se da una parte espressioni di lutto di questo tipo possono apparire ad alcuni bizzarre, dall’altra stanno diventando sempre più comuni, e (a mio personale giudizio) non fanno che confermare il bisogno di una connessione con chi ci lascia che continuiamo a sentire necessario.
Come ormai appare sempre più evidente, i cartoni non rappresentano più un puro intrattenimento per bambini, diventando un’occasione per toccare temi anche molto profondi, forse resi più accessibili proprio da una narrazione più dolce e delicata, quale appunto quella dell’animazione.
Personalmente ho trovato toccante la visione di Coco, che non posso che raccomandare a chiunque: grandi e piccoli, per lasciarsi toccare e conquistare dalla grande avventura di Miguel e nonna Coco.