Quanti psicologi ci vogliono per cambiare una lampadina?
Agosto 4, 2015Conflitti e contenti
Settembre 8, 2015Come riconoscere una dipendenza patologica?
Quando un legame si trasforma in dipendenza affettiva o quando possiamo l’uso di internet diventa una dipendenza da internet?
Come mai un comportamento quotidiano diventa una trappola da cui non riusciamo più a uscire?
L’ultima nata in “casa dipendenze” pareva essere la “selfite”: la dipendenza da autoscatto col cellulare.
Non riesci a smettere di farti foto e magari pure pubblicarle su internet?
Devi continuamente postare immagini su facebook, istagram & company?
Uno studio americano rivela che potresti essere affetto da selfite!
La notizia, poi rivelatasi una bufala inventata da un sito satirico statunitense, pareva tanto credibile da essere stata immediatamente ripresa da siti di informazione e telegiornali che annunciavano l’avvenuta classificazione dell’ennesima dipendenza patologica.
Anche una volta annunciata l’infondatezza della notizia, tanti hanno sollevato l’obbiezione che, se anche nessuno aveva realmente formalizzato l’esistenza di questo disturbo, era assolutamente necessario aprire una riflessione sul bisogno compulsivo degli adolescenti (solo loro??) di postare foto personali sui social network per ricevere conferme sulla propria immagine.
Questo aneddoto (che potrebbe a molti strappare anche un sorriso) offre l’occasione per aprire una riflessione in merito ad un tema che negli ultimi anni sta acquisendo sempre maggiore rilevanza nella letteratura scientifica e nella cultura popolare: il tema delle nuove dipendenze.
C’erano una volta i tossicodipendenti e gli alcolisti, e tutto finiva lì.
Il termine “dipendenza patologica” si associava esclusivamente a soggetti incapaci di astenersi dall’assunzione di una sostanza non vitale, ma addirittura con potenziali effetti letali sull’organismo.
Da alcuni anni le cose sono cambiate, con l’inclusione in questa categoria anche di comportamenti generalmente socialmente accettati (come il lavoro, il gioco, il sesso, ecc.) portati all’esasperazione da parte del soggetto, che finisce per compromettere la propria vita o alcuni ambiti di essa, per dedicarsi ad essi (Alonso Fernandez, Le altre droghe. Cibo sesso televisione acquisti gioco lavoro, Edizioni Univ. Romane, 1999).
Se per “i vecchi tossicodipendenti” l’astinenza dalle sostanze determinava la comparsa di sintomi di astinenza fisica, in questo caso l’interruzione forzata del comportamento a cui si è assuefatti, genererebbe ansia, irritabilità, insonnia, ecc.
Sono purtroppo drammaticamente noti gli effetti del gioco d’azzardo patologico su persone e famiglie, così come le ripercussioni negative di un uso eccessivo di internet e social network sulla vita di moltissime persone.
Facendo una carrellata veloce di alcune delle ultime dipendenze patologiche classificate, ci si rende conto di come potenzialmente ogni aspetto della vita della persona, nel momento in cui diviene esageratamente invasivo sugli altri, potrebbe finire per assumere una forma patologica: dipendenza da internet, da lavoro, dal sesso, dallo sport, da cellulare, da social network, shopping compulsivo, dipendenza da notizie, dal cibo, dal gioco d’azzardo, dipendenza affettiva, dipendenza da computer, da fitness…
Se una parte delle analisi effettuati in questo ambito paiono assumere talvolta tinte allarmistiche non sempre fondate (come la ricerca svolta nell’ambito del rapporto tra adolescenti e internet che segnalava che quasi il 70% degli ragazzi fosse “incapace di interrompere la fruizione da internet quando richiesto di farlo”, rispetto alla quale viene quantomeno da chiedersi “richiesto da chi?”) è vero che il fenomeno in alcuni casi può assumere forme complesse e maggiormente compromettenti la vita della persona (non solo adolescente).
Come giustamente rileva Cesare Guerreschi nel suo libro New Addictions (Guerreschi, 2005), questa impennata di forme di relazione patologica con comportamenti e oggetti di uso comune arriva concretizzarsi (non casualmente) proprio in un contesto sociale estremamente polarizzato sull’idea dell’indipendenza e dello svincolo da ogni relazione e legame “vincolante”.
Personalmente condivido l’idea che, quanto più siamo portati a stigmatizzare e rifuggire qualsiasi forma di dipendenza “bonaria”, cioè a contrastare anche abitudini sì rilevanti ma tutto sommato accettabili, non per una motivazione personale, ma perché giudicate dall’esterno eccessive, tanto più queste diventeranno invadenti ed avvinghianti.
Quanto più in un contesto viene valorizzata la dimensione dell’autonomia, tanto più tutto ciò che rimandi un’idea di dipendenza e vincolo potrebbe essere percepito come fastidioso e da rimuovere, quindi patologico.
Questo ci porta a quella che ritengo essere una dimensione-chiave per comprendere l’insorgenza di una determinata forma di dipendenza: le condizioni che rendono un comportamento o una cosa possibile oggetto di dipendenza sono determinate dal contesto relazionale e ambientale in cui la persona vive.
Il che non significa, ovviamente, che sono le persone attorno a far diventare una persona dipendente da internet, tanto per dire, ma che ciò che rende un determinato soggetto vulnerabile ad una determinata dipendenza si determina dal contesto relazionale nel quale si trova. Una dipendenza può infatti nascere come dichiarazione di indipendenza e differenza da qualcun altro, o al contrario venire inizialmente incoraggiata perché vista come una competizione positiva nella quale uno finisce per eccellere, finendo intrappolato.
Può essere quindi, tanto per fare un esempio, che una persona inizi a dedicarsi intensamente al fitness per differenziarsi da un contesto nel quale non esiste un particolare investimento nello sport. Questa differenza potrebbe essere contrastata dai familiari che, non condividendo questo aspetto della vita del loro congiunto, sarebbero portati a disincentivarlo o stigmatizzarlo. Più loro lo contrasterebbero, più la persona sarebbe portata ad attuarlo, fino a sfociare nella forma patologica.
Date le specificità di ogni determinata situazione non è possibile fare discorsi generali rispetto al contesto originario predisponente ad una determinata dipendenza patologica. È possibile però rilevare alcuni parametri che possono esserci utili per capire quando chiedere aiuto per gestire una situazione che sembra esserci sfuggita di mano nel rapporto con una determinata attività o comportamento.
La prima considerazione da fare riguarda l’attività oggetto di dipendenza: se è vero che è il contesto a determinare quale può essere scelta, è altrettanto vero che esistono notevoli differenze (almeno nelle fasi iniziali, prima che la situazione degeneri) nelle conseguenze di una dipendenza da gioco d’azzardo e una da internet, tra una dipendenza da fitness e una da shopping compulsivo.
È tuttavia altrettanto vero che le cosiddette “dipendenze benvestite”, cioè quelle che si mimetizzano meglio con le normali abitudini personali, vengono spesso individuate solo quando stroppano, cioè quando ormai hanno compromesso in modo irreparabile la vita della persona.
Un altro aspetto determinante è capire quando una passione personale sfocia nella patologia: ad ascoltare i genitori dei figli adolescenti il 90% di questi è dipendente da cellulare, ad ascoltare i ragazzi nessuno di loro lo è.
La differenza non sta tanto nel comportamento quanto nel contesto in cui questo avviene.
È una cosa che porta il soggetto a mettersi in relazione con altri o a isolarsi? In ogni dipendenza il rapporto con il comportamento o l’oggetto prevale su quello con le persone portando ad isolarsi: qui cosa sta succedendo?
Le persone più vicine al diretto interessato come lo vedono? Amici, compagni, colleghi e pari età condividono l’idea che “forse è vero che si sta facendo prendere un po’ troppo dalla cosa?
Da quanto tempo prosegue questo comportamento? Sta seguendo un obiettivo verificabile o è una gara con se stesso?
Esistono altre aree di vita che iniziano ad essere compromesse dall’invadenza di questa attività? O passioni prima centrali che adesso sono state soppiantate da quella nuova in modo radicale?
Il costo (temporale ed economico) è proporzionato alle possibilità della persona?
Provare a dare una risposta a queste domande, magari insieme al diretto interessato può essere un modo per iniziare ad avviare una riflessione diversa e aprire uno spazio di pensiero su un comportamento che sospettiamo essere una dipendenza patologica.
Tenete presente che, come insegnano gli alcolisti anonimi, la prima trappola della dipendenza patologica è l’idea che “smetto quando voglio”: per questo motivo nessuna persona affetta da dipendenza sarà in grado di tirarsene fuori autonomamente, salvo una volta giunto a non poter negare l’evidenza (e forse anche oltre). Al contempo affrontare la cosa in modo simmetrico spesso porta solo al mantenimento dell’abitudine in clandestinità e quindi all’aggravio della situazione.
Fare quindi in modo che la persona inizi a riconoscere gli aspetti critici del comportamento tenuto e a vedersi controllato dal comportamento piuttosto che il contrario sono i primi passi utili da costruire, con estrema cautela ed attenzione, per poter iniziare a costruire un percorso di cambiamento che possa aiutare la persona a realizzare comunque il bisogno che la dipendenza soddisfa, senza compromettere la propria libertà.