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“Sono Luca, ho 30 anni, una laurea e non so cosa fare delle mia vita”.

Comincia così una mail per una richiesta di aiuto da parte di un giovane uomo che mi chiede un colloquio… non sa bene neanche lui per quale ragione o problema. Anzi, uno dei motivi che lo spingono a contattare uno psicologo è proprio il desiderio di sapere che problema ha, se è l’unico a vivere questa situazione e se la cosa che sente ha un nome più specifico che “crisi esistenziale”.

La situazione di Luca (nome ovviamente di fantasia) è quella di un numero sempre crescente di giovani uomini e donne, tantissimi con titoli di studio elevati e curriculum brillanti fino al termine del corso di studi, punto a partire da quale si sono ritrovati in un’immobilità o inerzia inspiegabile, visti i precedenti.

Questo blocco non riguarda solamente l’ambito lavorativo, ma anche quello relazionale, o perché non trovano la persona giusta o perché si trovano incastrati in relazioni immobili, senza una prospettiva soddisfacente.

La ragione del loro malessere ruota proprio attorno a questa situazione paradossale: persone dotate di risorse brillanti, con trascorsi più o meno promettenti, si ritrovano incastrati in un vuoto progettuale, incapaci di prendere decisioni significative per dare una svolta ed una direzione netta alla propria vita, restando, appunto, degli incompiuti.

Proprio questo è il succo dell’affermazione “non so cosa fare della mia vita”: giunto il momento di prendere in mano le redini della propria vita, la persona sprofonda nel vuoto o tende ad arenarsi in una situazione non soddisfacente ma della quale non riesce a venire a capo, a trovare una soluzione.

Questo stato inerziale può protrarsi per anni, complici diversi fattori che apparentemente (o parzialmente) giustificano la situazione: la crisi economica, ad esempio, rappresenta per molti un’ottima scusa per l’immobilità lavorativa. Non si vuole naturalmente dire in questa sede che tutti quelli che non trovano lavoro è perché ricadono in questa crisi esistenziale (ci mancherebbe!), ma che si osservano situazioni in cui la persona avrebbe anche delle chance interessanti, utili almeno a tenersi attivi e fare curriculum, che non vengono poi accettate perché insoddisfacenti per varie ragioni.

La stasi lavorativa diventa poi una giustificazione per quella affettiva, sulle note del ritornello “andremmo anche a convivere, ma finché non ho un lavoro stabile…”.

L’esito è una sensazione di vuoto, di insoddisfazione e frustrazione generale, spesso accentuata dai rimandi più o meno espliciti dei familiari che non si spiegano (o liquidano con svalutazioni grossolane) l’empasse di chi fino a poco tempo prima sembrava il cavallo vincente della scuderia familiare.

 

Scanso equivoci, questa “crisi esistenziale dei trenta-quarantenni”, se vogliamo chiamarla così, non ha nulla a che vedere con la cosiddetta sindrome di Peter Pan, definizione con cui si descrive la condizione di eterni bambini o adolescenti di alcune persone, incapaci di crescere, ma che vivono con spensieratezza la loro condizione di leggerezza. In questo caso il diretto interessato è il primo a sentirsi frustrato ed insoddisfatto della situazione, sente che c’è qualcosa che non va, ma non sa cosa fare per rimediare.

Pensare al proprio stato attuale porta vissuti di ansia, frustrazione e vuoto, mentre la vita viene descritta in modo apatico, come priva di particolari stimoli e soddisfazioni, con una nota di fondo di tipo depressivo.

Per certi versi questa situazione ha più aspetti in comune con i cosiddetti “Neet” (Not in Education, Enployment  or Trading), espressione con cui viene descritta quella fetta sempre più diffusa di giovani che non studiano né cercano lavoro e che in Italia sono guardati con sempre maggiore allerta sociale, per il costo umano ed economico rappresentato a lungo termine da queste persone. La differenza principale, in questo caso, riguarda la fascia d’età (i Neet vanno dai 15 ai 30 anni) ed il fatto che l’aspetto formativo in queste persone è stato realizzato: a mancare è la finalizzazione, la chiusura del cerchio con l’avvio nella vita adulta, intesa come dimensione esistenziale dotata di una progettualità stabile (almeno in alcune aree, o almeno a livello ideale).

Le condizioni che possono determinare un quadro di questo tipo possono essere diverse, come ad esempio la presenza di aspettative molto elevate da parte del contesto, o eccessivo timore di fare scelte sbagliate da parte del soggetto, oppure ancora legami particolarmente forti con la propria famiglia di origine che rendono difficile il processo di emancipazione…

Oltre a tali variabili individuali, è possibile che un ruolo importante sia giocato anche da fattori di ordine sociale, come la trasformazione delle modalità di ingresso nel mondo del lavoro, o l’accentuazione sociale dei valori di indipendenza e libertà, con effetti disorientanti.

L’aspetto subdolo con cui questa situazione tende a stabilizzarsi nella vita di tante persone rende difficile riconoscerla, prenderne consapevolezza, e quindi provare ad affrontarla, a cambiare le cose. Un po’ come quei rumori di sottofondo a cui ci si abitua, senza più neanche accorgersi che ci sono, salvo poi ritrovarsi la sera con la testa che scoppia senza sapere perché.

La mancanza di sintomi evidenti, episodi conclamati fanno sì che spesso ci si adatti ad una situazione che di fondo non ci piace, ma che non sappiamo come iniziare a cambiare e nella quale ci sembra di non avere alternative.

Come sempre, il primo passo è il desiderio di provare a cambiare, iniziando magari proprio dal punto di vista che abbiamo sulla situazione: le risorse che ci hanno accompagnato fino a prima che iniziasse la crisi non possono essere sparite nel nulla, forse ora hanno solo bisogno di trovare un nuovo modo per essere espresse.

Scoprirlo può essere l’obiettivo di un percorso di terapia.

10 Comments

  1. MADDALENA ARNESE ha detto:

    DOTTORE MI RITROVO ESATTAMENTE COSì.
    Mi chiamo Maddalena ho 28 anni nata e cresciuta a Napoli e da settembre sono a MIlano. Sono partita con un amica per cercare lavoro e vivere qui.
    Lavoro e piccolo monolocale condiviso con la mia amica trovati subito ma, dopo circa tre mesi sono entrata in crisi… non ci volevo più stare qui a casa mia giu stavo meglio
    Non avevo più voglia di stare qui. ho trovato un ambiente di lavoro chiuso e non ho saputo reagire a questo nuovo modo di lavorare, a questo nuovo stile di vita.
    Ora Mi ritrovo ancora qui. non so cosa fare. Sono chiusa in me stessa e do poca confidenza alle amicizie coltivate qui.
    sono bloccata e devo dare delle risposte se resto o lascio Milano, ossia casa e lavoro…
    In questi mesi ho vissuto nella paura e nell’indecisione e mi ritrovo rispetto ai miei amici di non essere cresciuta. è diventato un pensiero fisso ed oramai non so più cosa fare.

    • cboracchi ha detto:

      Capisco la situazione che descrive, Maddalena.
      Mi colpisce il fatto che, da quello che scrive, il suo progetto sia iniziato molto bene, e che sia stata capace di superare bene le prime empasse, prima di trovarsi bloccata.
      Ha provato a pensare ad un aiuto terapeutico pet capire cosa abbia frenato lo slancio iniziale, fino a farla arenare?
      A volte per trovare il modo per ripartire basta una piccola spinta…

      • Paola Gallera ha detto:

        Salve. Sono Paola, e a luglio avrò compiuto (già) 31 anni. La parola che meglio mi descrive da un anno a questa parte è “frustrazione”. Mi ritrovo in tutto e per tutto con la descrizione di questo articolo: sono sempre stata una studentessa modello, dalle grandi potenzialità, il cavallo vincente su cui puntare.. chissà cosa diventerai, dicevano.. E invece, non sono diventata un bel niente. Una scelta sbagliata dopo l’altra, a partire dall’università. Nonostante avessi capito quasi subito di essermi giocata la carta sbagliata, ho ottenuto il massimo, e anziché buttarmi nel saturo mercato italiano sono partita per Londra. Una volta arrivata lì, pur avendo poche difficoltà con la lingua, mi sono accorta che per puntare a certi lavori la mia bella triennale Italiana era inutile e, stanca di fare la commessa, ho deciso di tornare in Italia dopo quasi 3 anni e continuare gli studi. Ennesima scelta sbagliata. Dopo 3 anni di lavoro è stata molto dura rimettermi sui libri, e l’idea di finire in tempo è sfumata sin da subito. Non contenta dell’esperienza londinese, ho maturato un’esperienza Erasmus di 6 mesi, ma anche quella è stata molto deludente: ero la più “vecchia” tra gli studenti e oltre al disagio sociale non ho portato a termine tutti gli esami. La sintesi è che “sì” ho finito gli esami (dopo 4 anni) ma sono talmente demotivata e delusa da tutto il percorso che non riesco a scrivere la tesi. È da stupido lasciare ora, certo, ma sono come bloccata, non ho stimoli e trovo tutto inutile. Mi guardo indietro e, sebbene abbia viaggiato e mi sia messa alla prova in vari contesti, non trovo nessuna delle mie esperienze meritevole di curriculum. Ho persino sviluppato un’ossessione: ogni giorno guardo i profili delle mie ex compagne – le stesse che mi elogiavano per le mie potenzialità – e sono tutte realizzate. Sento di aver sbagliato tutto, ed è troppo tardi per rimediare.

        • cboracchi ha detto:

          Buongiorno Paola, mi spiace aver visto così tardi il suo messaggio, altrimenti le avrei certamente risposto prima.
          Dalle sue parole traspare con vigore tutta la sua frustrazione e demoralizzazione per la situazione che vive.
          Purtroppo a volte gli eventi si accaniscono anche contro chi ce la mette tutta per “prendere la vita col piglio giusto” e, pur avendo tutte le carte in regola per farcela, sembra non essere mai abbastanza.
          Di fronte ai fallimenti dei nostri tentativi credo che la rabbia e la delusione siano ben più che comprensibili, legittime.
          Questo però non le trasforma in costruttive e utili a raggiungere la vita che sentiamo di meritare di avere.
          Se da una parte è forse inevitabile guardare anche attorno a noi e vedere anche i percorsi di altri, questa prospettiva rischia spesso di essere fuorviante, oltre che ingiusta verso noi stessi.
          Spero ovviamente innanzitutto che lei abbia modo di ritrovare la forza e l’occasione giusta per prendere la strada che la può portare là dove desidera, ma se dovesse rendersi conto che la stanchezza e la disillusione finiscono per avere la meglio, non trascuri la possibilità e l’aiuto che le possono venire da una terapia o un percorso di sostegno: per quanta forza possiamo avere, nessuno si solleva dalle sabbie mobili da solo. L’aiuto giusto al momento giusto possono invece aiutare a spiccare il salto che trasforma il nostro annaspare nel nostro volo.
          Un caro saluto

  2. Pablo ha detto:

    Buonasera dottore,
    Anche per me la situazione è simile. Lavoro come impiegato ho il classico posto fisso. Ormai da molti anni. Ma da sempre, ho sempre desiderato lavorare nel settore dell’antiquariato. In realtà ci ho anche provato alcuni anni fa, ma è andata molto male. È una lotta impari con una concorrenza che ha alle spalle decenni di esperienza, e che non si può in alcun modo spodestare se non con altrettanta esperienza decennale. Il punto è mentre accumulo esperienza come faccio a sopravvivere ?

    • cboracchi ha detto:

      Comprendo bene la frustrazione per la situazione di stallo in cui si trova. Conciliare la passione e le necessità concrete spesso diventa molto difficile per il sovrapporsi di molteplici questioni, come ad esempio nel suo caso una difficoltà “ambientale”.
      Certamente, quando la realizzazione di un grande progetto come quello di cui parla diventa difficile, trovare un modo diverso per costruire comunque il proprio percorso e ritagliare uno spazio ai nostri sogni personali può rappresentare la soluzione che ci aiuta a sentirci comunque realizzati. Non si tratta di abbandonare i sogni, ma declinarli dentro uno spazio realizzabile.

  3. Mari ha detto:

    Dottore,

    Anche io ho una situazione analoga, ho 33 anni un buon lavoro , un marito, una casa e mi sono laureata piu volte…comunque quest’anno ho iniziato giurisprudenza e ho lasciato perdere a meta anno. Sento di aver fallito e ora non so cosa fare nella vita, mi sembra che nulla mi da piu soddisfazzione. Sono indecisa sul avere figli e sulla mia carriera. Ho paura di avere figli perche sento che potro perdere la mia carriera e allo stesso tempo di sentirmi meno realizzata.

    Consigli per superare questa crisi?

    Grazie,

    M

    • cboracchi ha detto:

      La ringrazio per la sua condivisione, cara Mari, e provo a rispondere al suo quesito…
      In base a quello che mi scrive, la situazione che mi delinea lei è tuttavia profondamente diversa da quella di un incompiuto: mi scrive che lavora, ha una relazione e ha concluso diversi percorsi di studio; tutte cose che indicano una capacità di continuare a rilanciare sfide che vengono poi realizzate e rilanciate.
      Capisco la frustrazione per l’interruzione di quest’ultimo percorso di studio, ma forse varrebbe la pena di capire se forse non ci sia qualcosa in questo specifico frangente che abbia giocato un ruolo chiave.
      Quanto ai timori ed alle ambivalenze su figli e carriera, questo in tutta onestà non mi pare proprio un problema psicologico, ma la reale consapevolezza di chi vive in un paese che non facilita per nulla la conciliazione di sfera lavorativa e progettualità familiare, soprattutto per le donne.
      Naturalmente in questa sede non abbiamo modo di sviscerare in modo adeguato le questioni che animano i suoi dubbi, motivo per cui non posso che invitarla, se sente il bisogno di affrontare e superare questa empasse, di provare a cercare un terapeuta con cui entrare in modo più specifico nella situazione che sta vivendo per poter capire e risolvere in modo più mirato le sue difficoltà.
      Sperando di esserle stato di aiuto, le porgo cordiali saluti

  4. Marco ha detto:

    Buongiorno dottore,

    ho 34 anni, e mi sento irrealizzato. Questo stato d’animo sta influenzando la mia vita e le mie relazioni. Non ho energie per fare le attività che mi piacerebbe fare fuori da un contesto lavorativo che trovo insoddisfacente sia a livello professionale che economico. Evito le ragazze perché non mi sento interessante, e so che poi il mio atteggiamento le farà allontanare. Sono stanco. Quello che voglio fare e arrivare a casa, stare da solo e riposare.

    • cboracchi ha detto:

      Nelle sue parole, Marco, ci sono molti spunti preziosi che potrebbero essere già uno spunto da cui partire per un percorso personale: da una parte ci sentiamo non interessanti, prefiguriamo il rifiuto… ma poi siamo noi a causare l’allontanamento, realizzando attivamente ciò che temevamo.
      La domanda è: vogliamo provare a cambiare questo gioco all’autosabotaggio?

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