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Da diverso tempo ormai sui media e nei social si sente parlare con insistenza gender, orientamento sessuale, identità sessuali, omosessualità, transessualità

I termini del discorso tuttavia molto spesso si caratterizzano per una tale confusione e improprietà di linguaggio da rasentare spesso la disinformazione: basti pensare che cercando su google la parola “gender”, una delle più ripetute nel discorso attuale, vengano trovati più facilmente contenuti che parlano della “teoria di gender” (qualunque cosa si intenda con questa espressione) che non di cosa effettivamente si tratti quando si parla di “gender” e non di “sesso”, ad esempio.

In virtù di questo, anche alla luce di alcune richieste alle quali mi è capitato di dover rispondere sia in ambito clinico che nei contesti scolastici in cui lavoro, ho ritenuto opportuno provare a tratteggiare una panoramica dei termini del discorso, nella speranza di fare un po’ di chiarezza su un tema molto importante, la cui banalizzazione o definizione impropria può generare non solo confusione ma anche difficoltà a chi magari vive un periodo o un percorso di definizione di sé rispetto a questa tematica.

Diciamo subito che la ricerca nel campo psichiatrico e psicologico ha iniziato ad affrontare il tema dell’identità sessuale in modo più specifico ed approfondito a partire dagli anni ’50: l’emancipazione femminile e la rivoluzione sociale iniziata in quegli anni hanno infatti posto in evidenza la necessità di rivedere ed ampliare i concetti usati fino a quel momento per parlare di identità sessuale.

A partire da quegli anni è infatti emerso con sempre maggiore evidenza l’impossibilità di identificare sessualità “fisica” e “psicologica”, con la conseguente necessità di prendere in considerazione un ventaglio più ampio di componenti.

Attualmente si ritiene che per operare una corretta definizione dell’identità sessuale personale sia necessario riferirsi ad almeno quattro elementi.

Vediamoli nel dettaglio.

La prima componente è il sesso: con questo ci si riferisce alla componente fisica e biologica della sessualità, che comprende genitali esterni ed interni, corredo cromosomico, componente ormonale.

Tale componente assume ovviamente un’importanza fondamentale nel determinare il livello di partenza dello sviluppo personale. Anche coloro che vivono con disagio il proprio corpo ed il proprio sesso “originale”, arrivando a cambiarlo nel corso della vita, non possono che riferirsi a quello che ha significato per loro essere quello che sono (o che sono stati).

È bene ricordare come tale componente non sia affatto “categoriale” come si vorrebbe far credere: studi anatomici e genetici hanno infatti messo in luce come la differenziazione sessuale individuale anche nei mammiferi più evoluti parta da una condizione ibrida che va poi definendosi nel corso dei primi mesi di sviluppo intrauterino: in pratica maschi e femmine inizialmente possiedono strutture proprie di entrambi i sessi, che vengono poi sviluppate o atrofizzate in base ad una serie di fattori, principalmente ormonali. Nei casi in cui questa differenziazione vada incontro a problemi, è possibile che si vengano a creare casi di compresenza di tratti somatici maschili e femminili (spesso associati a sterilità, ma non sempre), come ad esempio la ginecomastia: cioè la presenza del seno in soggetti di sesso maschile.

La seconda componente è l’identità sessuale (o gender): con questa espressione ci si riferisce all‘auto-percezione del soggetto della propria sessualità, cioè come la persona percepisce se stessa in riferimento a questa dimensione. Oggi si è evidenziato come tale percezione non possa essere definita da categorie rigide, quanto piuttosto da un gradiente: cioè una dimensione che prevede una linea di continuità tra l’essere maschio e l’essere femmina, passando attraverso varie gradazioni e sfumature intermedie (senza per questo significare un orientamento sessuale corrispondente).

Ciò significa che un uomo può sentire alcune parti di sé come femminili (o viceversa una donna può sentire alcune parti di sé come maschili) in un gradiente che va da zero al 100% di sé, senza che ciò significhi che sia omosessuale, ma semplicemente che ha una propria visione di sé in un determinato modo. È chiaro che tale dimensione appare quindi eminentemente intra-psichica e personale, e non si sovrappone al sesso “fisico” in senso stretto.

La terza componente è il cosiddetto “ruolo di genere”. Questa dimensione si lega alla visione sociale della sessualità: in sostanza cosa ci si attende in un determinato contesto sociale da una persona di quel determinato sesso? Quali comportamenti sono socialmente identificati come caratteristici della figura femminile, piuttosto che di quella maschile?

È evidente che tali visioni possano essere totalmente diverse in contesti storici e sociali diversi, fino ad arrivare a visione diametralmente opposte, con ovviamente la percezione da parte di ciascuno che la modalità in uso nel proprio contesto sociale fosse “la più ovvia” e quelle diverse da questa “le più bizzarre o sbagliate”. È altrettanto evidente che un soggetto posa scegliere di aderire in modo più o meno pedissequo o di prendere le distanze in modo più o meno marcato dagli standard sessuali del proprio contesto pur mantenendo una coincidenza tra sesso, identità di genere e orientamento sessuale, come ad esempio mostrato nel film “Billy Elliot”, in cui un bambino eterosessuale faticava ad essere accettato nel proprio contesto solo perché praticava la danza classica, attività generalmente identificata come femminile.

Un esempio lampante nel mondo occidentale odierno è rappresentato ad esempio dalla rivoluzione del ruolo maschile all’interno della casa: se fino a venti, trenta anni fa poteva risultare alquanto strano che un uomo si dedicasse alla cura della casa o dei bambini, oggi la cosa non fa più alcun effetto, almeno nelle generazioni più giovani.

L’ultima componente dell’identità sessuale è l’orientamento sessuale, cioè chi venga identificato dal soggetto come partner sessuale: maschi, femmine o entrambi.

Stante quindi delle premesse così articolate, è chiaro che la visione dell’identità sessuale fatta propria dalla psicologia moderna non possa essere quella di un elemento dato alla nascita e immodificabile, quanto quella di un processo di definizione di sé complesso, che comprende elementi personali, relazionali e contestuali nella definizione di sé e della propria identità.

In tale cornice oggi si è giunti a considerare quindi come problematiche non tanto le situazioni in cui vengano elaborate identità sessuali diverse dal sesso di partenza (anche perché, da quanto detto sopra, dovrebbe apparire evidente l’inevitabile specificità di ciascuno nel vivere e percepire la propria sessualità) quanto quelle situazioni in cui il soggetto viva con disagio la propria condizione in senso lato, sia essa omosessuale, eterosessuale, bisessuale o altro ancora.

In sostanza ciò che conta non è tanto il punto di arrivo del percorso personale di una persona, quanto il fatto che questa senta di star bene con quello che è: alla luce di questo sono quindi chiare le ragioni per cui da ormai oltre trentanni l’omosessualità e il transessualismo non siano più considerati patologie mentali, così come la presa di posizione netta da parte degli ordini degli psicologi contro le cosiddette “terapie riparative dell’omosessualità”.

Purtroppo ancora oggi disinformazione e pregiudizio giocano un ruolo determinante rispetto alla visione sociale di queste condizioni, condizionando in modo significativo la presa di coscienza ed autoaccettazione da parte delle persone che si riconoscono in un quadro identitario di questo tipo.

La speranza è che, così come per altre forme di discriminazione gradualmente superate nel corso della storia, anche per questa il tempo faccia il suo corso, aiutando sempre più persone a capire che l’errore sta nell’occhio di chi guarda e non nella sostanza di chi vive, e permettere un’integrazione più autentica e reale.

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