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Ottobre 2, 2014Tempo fa, lavorando come psicologo scolastico presso una scuola media, ho avuto modo di ricevere allo sportello di ascolto la visita Federica, una ragazza che, per alcuni elementi del suo aspetto fisico associai subito “gazzella spenta”.
Alta e slanciata (frequentava la seconda media ed era alta quasi come me), chiaramente sportiva, sembrava però sgonfiata, come afflosciata su sé stessa. La sua innegabile prestanza fisica, non nel senso di abbondanza o floridità, ma nel senso di forza, solidità e compattezza, sembrava azzerata da uno sguardo ed un atteggiamento di sconforto e abbattimento evidente.
Non faccio in tempo a chiederle cosa la porti a chiedere aiuto, che i suoi occhi si riempiono di lacrime: alcuni suoi compagni hanno sparso per i corridoi della scuola una sua foto piuttosto imbarazzante (fortunatamente solo per la sua espressione “poco riuscita”), suscitando ilarità e sberleffi da parte di altri ragazzi.
In poche battute si delineano i contorni di una classica situazione di bullismo: un piccolo gruppo di ragazzi, capeggiati da un paio di membri più carismatici, si divertono con “scherzi” più o meno pesanti a colpire ora l’uno ora l’altro compagno di classe. La tecnica è sempre chirurgica: il “ciccione” viene colpito sulla sua trippa, il “secchione” sulla scarsa simpatia che suscita per invidia nei compagni, la “bruttina” per l’aspetto estetico e così via.
Cerco di approfondire il discorso per comprendere meglio la situazione e mi rendo conto che, man mano che prosegue il racconto, l’immagine che aveva inizialmente colpito la mia fantasia, quella della gazzella spenta, va arricchendosi di particolari interessanti: vedo accanto a lei una gazzella sovrappeso, una con gli occhiali, una con le gambe storte, ecc. tutte inseguite da pochi leoni abili nel colpirle nelle loro fragilità.
Chi ha una minima esperienza con il bullismo conosce bene una caratteristica strutturale del fenomeno: pochi soggetti (il bullo e i suoi complici) ne colpiscono alcuni (una o poche più vittime), potendo contare su una maggioranza silenziosa (i cosiddetti “spettatori”) spesso individualmente infastiditi dalla prepotenza usata, ma zittiti dall’omertà che circonda gli episodi: finché nessuno parla, l’empatia per la vittima si spegne e la violenza rimane, mascherata da scherzo o gioco.
Molti disapprovano i leoni, ma nessuno lo dice. Molti potrebbero sostenere le gazzella, ma nessuno osa farlo. Questo permette a pochi leoni di sbranare molte gazzelle.
Ma cosa succederebbe se dieci, venti, cinquanta, cento gazzelle caricassero a corna basse i due o tre leoni che spaventano la savana?
Quando faccio questa domanda a Federica il suo sguardo rimane sorpreso, non capisce dove voglia andare a parare. Allora divento più esplicito.
Le chiedo secondo lei cosa pensino lei, il compagno secchione, quella bruttina, quello grasso, quello con vestiti non firmati, quella con i capelli “troppo ricci”, quello un po’ bassino, quella “carina ma timida”, quello “gay perchè non gioca a calcio”, ecc. di questi suoi compagni così forti, e la risposta è una sola, condivisa: nessuno li sopporta, ma non sanno cosa fare.
Ancora una domanda: lei come sta quando vede preso in giro uno di questi suoi compagni? E gli altri presi in giro come stanno, secondo lei, quando un altro viene irriso?
Ancora una volta Federica è sicura della risposta: a nessuno piace vedere queste prepotenze, ma questi sono forti, sono uniti. Io aggiungo: sono incontrastati.
È il momento di cambiare le cose, e per questo le do due compiti: chiedere collaborazione ed offrire alleanza.
C’è almeno un compagno o compagna che ritiene che le sia veramente amico e che non è bersaglio di prepotenze? Bene, a lui/lei dovrà chiedere di non ridere la prossima volta che le faranno uno scherzo che sa che le dà fastidio ma, se se la sente, difenderla. Questa sarà la collaborazione richiesta.
L’alleanza invece dovrà essere chiesta ad almeno un’altra “gazzella” (ma può farlo anche con due, tre o quante ne vuole): quando una delle due gazzelle viene colpita da un leone, l’altra non ride ma manifesta solidarietà alla vittima. Inoltre questa gazzella dovrà trovarsi a sua volta un collaboratore che dia manforte.
Le chiedo se è chiaro cosa voglio da lei, Federica conferma pensierosa.
Trascorrono tre settimane prima che riveda Federica, e quando la richiamo allo sportello la gazzella che mi trovo davanti sembra tutt’altro che spenta. Adesso sì che sembra perfino più alta di me.
Il suo sorriso è più solare, la sua schiena più dritta. Non mi ha ancora detto nulla, ma so già dal suo aspetto come sono andate le cose.
Il suo racconto, semplicemente, me lo conferma.
Inizialmente non era sicura di chi scegliere come alleato, ma poi i leoni stessi gli hanno dato un’occasione. Durante una lezione di ginnastica, una battuta al “ciccione” le ha dato lo spunto per parlare. E ha iniziato a farlo con “il gay” e “la timida”: ha detto come stava quando veniva offesa, o quando vedeva qualcuno offeso dai leoni, come stava adesso che vedeva Ciccio preso in giro dai leoni, e ha chiesto alleanza per non essere più deboli.
Le gazzelle hanno accettato felici un patto che, senza saperlo, ciascuno di loro stava solo aspettando veder formulato, scegliendo di fare più di quanto avessi chiesto loro: invece che limitarsi a difendersi tra di loro, ognuno di loro ha parlato con il proprio compagno di banco e hanno deciso di difendere “il ciccione”. La pallonata di pochi minuti dopo ha visto uno scenario inedito: i tre leoni per la prima volta si sono trovati contro sei gazzelle, alle quali se ne è aggiunta in fretta un’altra, un’altra e un’altra ancora, fino a diventare il resto della classe.
Federica è felice, non solo perché nei corridoi non ci saranno più sue foto, ma perché ha scoperto che a nessuno piaceva vederla umiliata, perché ha potuto dimostrare la sua amicizia ai compagni e venirne ricambiata.
Perché ha capito che si può essere più forte dei leoni.