I mal di testa di Giorgio
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Gennaio 3, 2015L’approssimarsi delle feste è certamente uno dei momenti più “sentiti” dell’anno, se non altro perché è impossibile ignorarne l’esistenza, a meno di non vivere sigillati in casa propria, con televisori, computer, radio e smatphone spenti… Babbi Natale che si arrampicano (o precipitano) da svariati balconi, luci e strenne natalizie, chilometri quadrati di muschio o cotone a ricoprire i vari presepi nelle vetrine (a seconda dell’ambientazione palestinese o… svizzera), pubblicità, messaggi, offerte e promozioni sotto l’albero e, naturalmente, l’immancabile lista dei regali.
Non è certo una notizia il fatto che il Natale sia ormai di fatto un evento sociale che travalica la tradizione religiosa per diventare una festività condivisa anche da persone tiepide o indifferenti alla fede cristiana che comunque, in linea di massima, ne riconoscono il valore ed il senso di “festa della pace”: emblematico il caso della nota canzone “Happy Christmas (War is over)”, composta da un John Lennon dal percorso religioso complesso e certamente fuori dall’ortodossia cristiana, eppure estremamente “natalizia” anche nel suo invito all’amore ed alla fratellanza universale.
Tuttavia il sentimento che si accompagna a questo momento così particolare è molto più controverso di quanto i vari Babbi Natale sorridenti lascino intendere, rendendolo addirittura uno dei momento di sofferenza (o insofferenza) più intensi dell’anno. Alcune ricerche nordeuropee risalenti a non molti anni fa lo indicavano, addirittura, come il periodo con il maggiore tasso di suicidi o tentati suicidi dell’anno ed è altrettanto interessante l’intensa filmografia che ha cercato di cogliere “il lato oscuro del Natale”: Il Grinch, Babbo Bastardo, Nightmare Before Christmas solo per citarne alcuni.
A cosa è dovuta questa così diffusa “allergia Natalizia”?
Come mai la stessa cosa non accade anche in altri momenti “di festa comandata”, come ad esempio il primo maggio, ferragosto, o anche di altre festività religiose, come la Pasqua?
È davvero solo una questione della “mercificazione dei sentimenti e valori ad uso consumistico”?
E, se così fosse, come mai non accade anche per altre ricorrenze nella stessa situazione, quali San Valentino o la Festa della Donna?
La psicologia ci può venire in aiuto con una risposta diversa, ma che spiegherebbe molto bene non solo questo sentimento così intenso, ma anche le tinte drammatiche assunte dal fenomeno in alcuni casi.
Partiamo da un concetto proprio della psicologia sociale: quello di “rito”, ovvero, secondo il dizionario Garzanti “l’atto o insieme di atti che devono essere eseguiti secondo norme codificate”, ma anche “usanza, costume”. Un rito consiste in sostanza in un insieme di comportamenti prescritti o comunque attesi da parte delle persone appartenenti ad un determinato gruppo (a volte senza che siano necessariamente scritti da qualche parte, ma semplicemente come prassi condivisa).
Nel caso in cui il gruppo aderente a questa prassi coincida con l’intera società (o la maggior parte di essa), si parla di rito sociale. È importante tenere presente che una volta stabilito il rito diventa significativo per qualunque membro che si riconosca in quella società, anche per chi non lo condivide, che scegliere di porsi in contrapposizione con esso.
Generalmente i riti sociali hanno a che fare con il “sé sociale” dell’individuo, cioè con quella parte dell’identità che collega il soggetto al macro-gruppo di appartenenza (cittadinanza e nazionalità, religione, credo politico, ecc.).
Per il Natale, al contrario, la codificazione sociale del rito (inteso, ovviamente, non come funzione religiosa, ma come evento che coinvolge chiunque) possiede al proprio interno anche una chiara connotazione emotiva, andando quindi ad interferire su un piano estremamente privato e soggettivo, diverso da quello dove abitualmente i riti sociali operano. È pur vero che questa imposizione è una questione strettamente legata con l’aspetto consumistico, ma fondamentalmente estranea al senso originario della festività (anche nel vissuto popolare tradizionale), nel quale gioia e tristezza, dolore si mescolavano fittamente (nel presepe napoletano, ad esempio, rientra anche una figure cruda, il macellaio, a rimandare alla sofferenza ed al sacrificio).
Se quindi un lato il Natale rimanda alla nostra dimensione sociale, dall’altro contempla aspetti riguardanti una sfera estremamente intima, quella dei sentimenti, generando una condizione paradossale, legata al fatto che… i sentimenti non possono essere prescritti!
Dirsi “devo essere felice!” oltre che essere una frase senza senso, perché la felicità o è spontanea o non è felicità, possiede anche un pericoloso effetto boomerang, perché la presenza di eventuali sentimenti diversi da quello “giusto” viene percepito come condizione dissonante perché incongruente con il rito. Inoltre anche l’eventuale presenza del sentimento corretto potrebbe essere vissuta come forzata, inautentica.
In pratica, se ci si sente felici ci si potrebbe chiedere se lo si è veramente o se lo si è sulla scia dell’apparenza natalizia, se ci si sente tristi, arrabbiati, apatici o “strani” (per dirla alla Verdone) ci si sente fuori posto, inadeguati, accentuando il proprio vissuto di frustrazione.
Le possibilità a questo punto sono due: prendersela con se stessi (sono sbagliato io, quindi mi deprimo), o prendersela con il rito (è sbagliato il Natale, quindi lo odio).
È evidente, inoltre, che il fatto stesso di percepire questa condizione di intrusione emotiva crea disappunto, antipatia in chi sente di essere messo di fronte ad una condizione sgradevole.
Occorre tenere presente anche la variante di questo medesimo meccanismo scatenata dalla nostalgia: chi, ad esempio, viva ricordi di Natali passati con serenità nel passato si ritrova con un senso di tristezza presente che genera il circolo vizioso sopra delineato.
Naturalmente questa via non è obbligatoria (altrimenti ci deprimeremmo tutti e tutti odierebbero Natale e dintorni), ma fortemente a rischio nel momento in cui la persona non dovesse trovare dentro di se motivi profondi ed autentici di sintonia con l’emozione “imposta” dal Natale.
Come sopravvivere a tutto questo?
Un’indicazione utile potrebbe essere… non pretendere un Natale felice “per principio”, ma approfittare del tempo che probabilmente le feste lasciano per regalarsi qualcosa che renda felici di viverlo: un regalo non necessariamente materiale, ma prezioso, utile, confortante.
Quali “cose preziose” non trovano spazio nella nostra quotidianità, presa da impegni e doveri?
Possiamo essere “sanamente egoisti” e prenderci questo Natale un po’ per noi, facendo qualcosa che non abbiamo mai il tempo di fare e che ci appaga, che per noi è importante prenderci?
La felicità non fiocca dal cielo, ma può essere presa e realizzata, approfittando dell’occasione di stacco dalla routine abituale (magari rompendo un po’ il con “rito” della quotidianità).
Altrettanto importante potrebbe essere tuttavia anche demistificare un po’ l’immagine del “Natale da favola” (e in questo qualche film come quelli sopra citati può essere d’aiuto): accettare, senza per questo rassegnarsi, che ci possano essere alcuni aspetti che possono renderci tristi, arrabbiati, frustrati, anche nel Natale,o nel periodo natalizio, può aiutarci a viverlo con maggiore serenità, e far scivolare più facilmente anche le note più dolorose, inevitabilmente presenti in ogni melodia.
Anche in quelle Natalizie.