Terapia di coppia: quando serve?
Settembre 6, 2017Aiuto dottore, mio figlio non mi parla più!
Settembre 20, 2017Generalmente non scrivo, né mi occupo particolarmente di tematiche a sfondo pedagogico, ritenendole territorio proprio di altri professionisti (i pedagogisti, appunto), più interessati e competenti di me sull’argomento.
Un recente episodio mi ha portato però a condurre una riflessione che mi pare pertinente e, spero, interessante anche per questo blog.
Questo è l’antefatto.
Alcuni giorni fa, mentre mi trovavo a pranzare in un ristorante, assisto alla scena di un bambino di circa 5 anni alle prese con un piatto di pasta che, evidentemente, non aveva nessuna intenzione di terminare. Delle due signore al tavolo con lui, una (la madre) cercava di imporsi perché il bambino finisse tutto quello che aveva nel piatto, l’altra (una zia, mi è parso di capire) giustificava il bambino, dicendo che evidentemente ciò che aveva mangiato prima era sufficiente, e che “non bisogna insistere a far mangiare i bambini, perché poi diventano anoressici” (testuali parole), con la mamma che chiude la questione sbuffando .
Ecco.
Rispetto ad una situazione così (che forse può apparire sufficientemente comune da poter somigliare ad altri episodi capitati anche ad altri), ho pensato che fosse opportuno condividere qualche riflessione.
Iniziamo da una premessa: non conosco nulla della storia di questo nucleo che ho osservato, non so nemmeno se la “zia” in questione fosse una zia reale, un’amica, una conoscente occasionale o altro, non so se la scena abbia avuto un seguito o se si sia chiusa lì, ecc.
Ciò che posso dire è che certamente un tipo di intervento fatto in questo modo rappresenta quanto di più deleterio possa essere fatto sia per la mamma che per il bambino in questione.
Siamo forse all’“ABC” della pedagogia ma, anche quando si ha un messaggio intelligente da dare, è bene ricordare che nessuno può intromettersi tra un figlio ed un genitore che sta intervenendo con lui.
Se proprio ci appare opportuno mandare un messaggio di un qualche tipo, è sempre meglio farlo in separata sede, evitando di mettere sotto scacco l’autorità del genitore davanti al figlio, o lasciando aperta la porta ad una coalizione contro il genitore. Questo discorso vale ovviamente anche per nonni e zii: i genitori sono due, e sono insostituibili. Se la madre dell’episodio sopra riportato avesse mandato al diavolo la “zia”, avrebbe dato forse la risposta più corretta.
Ma andiamo oltre: insistere a dare il cibo fa venire l’anoressia?
No. Questa è una frottola bella e buona. Se le cose stessero così, probabilmente l’80% delle persone soffrirebbe di anoressia.
E’ vero che la modalità scelta dalla madre aveva più svantaggi che benefici perché a lungo andare, se applicata in modo sistematico, rischia di trasformare il cibo in un terreno di scontro, cosa che si ritrova in alcuni disturbi alimentari, ma occorre fare chiarezza.
Analizziamo meglio la situazione:
Il primo e più evidente effetto ottenuto da un’imposizione è quello di trasformare il comportamento imposto in un atto di sottomissione o opposizione: per il bambino in questione non si tratta più di assaporare il cibo, scoprire un gusto nuovo, o capire l’importanza di un’alimentazione integrata, ma solo un problema di obbedire o disobbedire.
Il cibo, cioè, diventa il terreno di scontro per l’affermazione personale: vediamo chi dei due è più forte. Alla lunga il bambino potrebbe vivere il rapporto con il cibo come una prova di forza, trasformando un’attività naturale in una questione di principio.
Passiamo alla zia.
Il suo messaggio poteva essere corretto nelle intenzioni e nel messaggio di fondo, ma maldestro nella messa in pratica ed infondato nei contenuti, oltre che sbagliato nella forma, perché squalifica la mamma, facendo più danno che beneficio.
Come andare incontro quindi ad un problema di questo tipo?
Una prima soluzione, potrebbe essere quella di scegliere con chiarezza se adottare un regime alimentare “a spuntini” piuttosto che “a pasti completi”, tenendo presente che le esigenze alimentari di un bambino sono molto minori di quelle di un adulto. Non è detto che uno sia migliore dell’altro, basta sceglierne uno, per evitare di rimpinzare il bambino prima, durante e dopo i pasti.
Mai come oggi si dice che i bambini siano capricciosi a tavola, ed al contempo sta crescendo in modo impressionante il problema dell’obesità infantile… solo una sfortunata coincidenza?
Eliminare i cosiddetti “cibi spazzatura” (merendine e snack per primi) permette di migliorare l’alimentazione sia nella qualità che nella regolarità.
Un altro aspetto utile da tenere presente è che… l’appetito vien stancandosi: fare movimento, attività fisica soprattutto all’aperto, stimola la fame, e un bambino non si metterà certo a digiunare per farci un dispetto, a meno che non siamo stati noi a… servirgli l’idea su un piatto d’argento.
Il discorso con un adolescente potrebbe essere diverso, ma non possiamo trascurare il fatto che per un bambino il momento dell’alimentazione non ha tutto l’investimento simbolico che può essergli dato successivamente. Se un bambino non mangia è perché non ha fame. Magari non sta bene, è stanco, o non conosce il cibo.
Accontentarsi di un assaggio e poi lasciare che non vada avanti, è il modo migliore perché poi il bambino faccia la sua scelta in serenità.
Un altro aspetto da tenere presente è che a volte i bambini vanno anche per imitazione: se esiste la possibilità di far mangiare ogni tanto il bambino con altri amici che hanno abitudini alimentari diverse dalla sua, si può fare in modo che sia spinto “per compagnia” a provare cose nuove, o mangiare cose che con noi non ha mai provato.
Vederlo sperimentare cose nuove non deve diventare occasione di rancore personale (“ecco, allora vedi? Con me non mangi per dispetto”) ma il riconoscimento che sta imparando a provare cose nuove.
Proprio a partire da questa idea per altro si può aiutare i bambini a familiarizzare con il cibo coinvolgendoli (da soli a casa, o in gruppo a scuola) in attività di preparazione del cibo: manipolare, creare è un passaggio essenziale, che aiuta a familiarizzare anche con cibi nuovi, sconosciuti, avvicinandosi in modo diverso.
L’obiettivo diventa quindi evitare il confronto impositivo, ma un avvicinamento spontaneo, progressivo. Se in passato i bambini mangiavano perché avevano fame, il benessere diffuso, l’abbondanza di cibo ed il martellamento pubblicitario per cibi confezionati di qualità scadente rappresentano un problema con cui bisogna imparare a confrontarsi nel percorso educativo contemporaneo.
A chi pensa che queste faccende siano “elucubrazioni mentali da psicologi” faccio presente che il problema della cattiva alimentazione nell’infanzia rappresenta uno dei problemi più sottolineati dalle associazioni di pediatri.
In buona sostanza: fare la guerra a tavola avvelena ogni portata, mentre con un po’ di zucchero ogni pillola va giù.