Aiuto dottore, mio figlio non mi parla più!

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Oggi parliamo del rapporto tra genitori e figli, in particolare di quando un figlio sembra sottrarsi ad un genitore con cui fino a poco prima c’era confidenza, e sembra non volerci più parlare.

Non mi riferisco a situazioni di litigio tra loro, o a crisi seguenti a separazioni o simili, ma proprio a quei casi in cui, senza una ragione apparente, un figlio non parla più in casa con uno o entrambi i genitori.

Non sono rari i casi di madri e padri che chiedono aiuto per i “silenzi a tavola”, gli sguardi sfuggenti, la sensazione che stia succedendo qualcosa per cui il figlio (o la figlia) sembra sfuggirgli.

La questione diventa spesso fonte di grande angoscia e turbamento per due tipi di pensieri che iniziano ad aleggiare in testa “avrà qualcosa da nascondere” e “sarò arrabbiato per qualcosa che ho fatto… ma dove ho sbagliato?”.

Nessun genitore, ovviamente, può accettare l’idea di non essere un buon genitore, qualsiasi cosa ciò significhi nella sua testa.

Esiste un’idea molto diffusa per cui “il buon genitore è il primo confidente del figlio”, che in questi casi diventa allarmante, ma… è davvero così?

Decisamente no! E per capire il perché può essere sufficiente rovesciare le parti, ricordando quando “noi genitori” calzavamo la parte dei figli: avremmo visto di buon grado il fatto di parlare sempre di una cosa prima con i nostri genitori? Erano sempre loro i migliori interlocutori che avremmo desiderato?

Certo, qualcuno può aver avuto il desiderio di una maggiore vicinanza con un padre o una madre sfuggente, ma certamente per moltissime questioni il confronto con dei pari o l’autonomia decisionale diventava l’opzione preferita.

Il binomio autonomia-dipendenza non è necessariamente un bisogno relegato alla sola adolescenza, sebbene questa tematica diventi certamente più fondamentale con la crescita di un figlio.

In termini assoluti si può anzi dire che la progressiva costruzione di una distanza tra familiari di generazioni diverse sia una necessità: prima o poi il giovane dovrà fare a meno del più vecchio e, per quanto questo passaggio possa essere desiderato più lontano possibile, la sua preparazione progressiva è certamente il modo migliore per affrontarlo.

Ma come posso regolarmi se mio figlio non mi parla? Cosa è bene che faccia?

Ciò che è importante mantenere è la “certezza di presenza ma impossibilità di sostituzione”: cioè che l’altro sappia che noi, in caso di necessità, ci siamo ma che la nostra presenza non sostituirà mai il ruolo che lui è bene che abbia nella sua vita e nelle sue scelte.

Questo naturalmente, quando si parla di figli minorenni, può e deve accompagnarsi anche ad un controllo più diretto (es. controllare i contatti del figlio e i suoi social network, monitorare le spese effettuate, verificare le presenze a scuola, ecc.), modalità che nelle età successive diventa accettabile solo in caso di sospetto pericolo per l’incolumità dell’altro.

La definizione di questo spazio privato del figlio può essere negoziata, e diventare occasione di confronto: esplicitare cosa vogliamo/dobbiamo sapere e in che modo concordiamo di comunicarci le cose rappresenta un’ottima occasione di evoluzione della relazione.

Non possiamo dimenticare che riconoscere all’altro degli spazi “lontani dai nostri occhi” esprime una grande attestazione di fiducia e stima nell’altro e nel rapporto costruito: solo un secondino (o un custode…) ha bisogno di assicurarsi sempre che il prigioniero (o il custodito) non tenti di scappare.

In tutti gli altri casi il rapporto non può funzionare così, ma basandosi su una reciproca fiducia: discorso valido tra genitori e figli, tra partner, colleghi o qualsiasi tipo di rapporto autentico della nostra vita.

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