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Giugno, si sa, è mese di esami, e per molti questo significa attraversare un periodo carico di un’ansia che rischia di compromettere gli sforzi fatti per raggiungere i risultati sperati.

Questo tipo di ansia, generalmente chiamata ansia da prestazione, finisce infatti per creare un senso di blocco, un’incapacità a pensare che impediscono a chi la prova di dimostrare la propria competenza e le proprie conoscenze, anche quando la preparazione è stata svolta molto bene.

Anzi, molto spesso, più un esame è importante e quindi la preparazione accurata, tanto più aumenta l’ansia e quindi il blocco.

Come se non bastasse, in molti casi il semplice timore che l’ansia possa presentarsi diventa in automatico motivo di preoccupazione e quindi causa scatenante l’ansia temuta.

Cosa fare? È possibile trovare il modo per aggirare questo problema e riuscire a disinnescare questo circolo vizioso?

Un primo aspetto che è importante tenere presente riguarda la natura stessa dell’ansia.

A questo termine vorrei quindi per un attimo sostituire quello di “tensione”, spesso usato come semplice sinonimo, ma nettamente meno connotato in termini patologici.

Parlare di tensione significa infatti parlare prima di tutto di una spinta interna, una propensione, appunto, che la nostra mente percepisce. Il termine tensione evoca immagini fisiche, meccaniche: un arco che si tende, un cavo che si tira, un muscolo che si mette al lavoro… queste immagini ricalcano efficacemente quello che succede (e che è bene che succeda) alla nostra mente prima di affrontare un esame: il pensiero ha bisogno di diventare più veloce, capace di muoversi con rapidità tra le diverse informazioni presenti, di stabilire nessi e rievocare informazioni nel minor tempo possibile: tutte prestazioni migliorate dal nostro stato… di tensione, appunto.

Entro un certo limite la nostra ansia è la nostra migliore arma per affrontare al meglio la prestazione che ci accingiamo ad affrontare. Immaginiamo un atleta che si prepari a disputare una finale “molle”, senza energia. Per quanto possano apparire disinvolti e a proprio agio, i grandi campioni dello sport prima di una gara importante sono sempre estremamente concentrati e carichi, tesi, come confermano poi sempre nelle loro dichiarazioni e interviste: nessuno, nemmeno i più bravi, possono dare il meglio se non provano quello stato di attivazione interna.

Questo significa che nel momento in cui si inizia a percepire uno stato di tensione emotiva, invece che essere preoccupati per questo, si dovrebbe sentire semplicemente che la nostra mente si prepara a disputare l’incontro, che scalda i motori, si dispone a permetterci di rendere al meglio. Ciò significa che invece che contrastare questo stato o cercare di reprimerlo, si dovrebbe assecondarlo e riconoscerlo come utile, tanto per cominciare.

È vero tuttavia che questo stato emotivo risulta utile solo se contenuto entro un certo limite, quel limite entro cui la velocità del pensiero non diventa tale da risultare confusiva e causa di disorientamento. Il problema non sarebbe quindi la presenza dell’ansia, ma il suo eccesso: ciò che serve è dunque un impianto frenante, o un meccanismo di scarica della tensione “di troppo”.

A questo proposito è bene tenere presente che la tensione non si smaltisce solo nel momento critico, ma è bene addestrarsi a scaricarla in modo progressivo o trovando momenti di rilassamento strutturati, o (soprattutto per chi conduce una vita sedentaria e poco attiva) aiutando la mente a scaricarsi compensando con esercizio fisico una tensione che altrimenti rimane solo mentale.

Mente e corpo infatti non possono essere separati in nessun caso, tanto meno quando si parla di tensione: aiutare la mente a scaricarsi passando attraverso il corpo può essere un meccanismo molto utile, come sanno tutti coloro che sono soliti praticare sport “per scaricarsi”.

Il solo esercizio fisico però spesso non è sufficiente: per questo motivo delle tecniche specifiche di rilassamento possono essere di aiuto, almeno nei momenti più impegnativi e stressanti. Yoga, training autogeno, meditazione, ecc. sono attività che, se praticate con costanza, possono dare un aiuto importante per gestire il carico emotivo e mentale.

Proprio queste ultime attività, inoltre, possono essere di supporto anche nel momento della prova: sebbene naturalmente non ci si possa sdraiare su un tappetino nel corso di un esame, l’allenamento a raggiungere uno stato mentale di distensione, o a praticare esercizi di respirazione distensiva può aiutare a sentire un senso di controllo e padronanza in qualunque momento.

La psicologia dello sport in questo senso ha saputo sviluppare moltissime tecniche per “sostare nella tensione”, mantenendo la parte positiva, necessaria di attivazione psicofisica, senza combatterla, ma sfruttandola al meglio. Le stesse tecniche possono essere applicate con profitto anche nei momenti di prova mentale, come appunto un esame, una verifica, un’interrogazione.

Sottolineo nuovamente però che la cosa non è banalizzabile con un “respira e concentrati, vedrai che ti passa”: anche per raggiungere questa capacità occorre preparazione ed allenamento.

Essere consapevoli di sé significa sapere che si è portati a vivere con particolare apprensione momenti in cui ci si sente giudicati e che le proprie paure possono compromettere la nostra efficienza.

Prepararsi a questo significa avere il coraggio di guardare in faccia la nostra paura e permetterci di affrontarla.

2 Comments

  1. blank Romina ha detto:

    Salve, ho avuto modo di dare un occhiata ai suoi articoli e li trovo molto interessanti. Mi sono sempre sentita piuttosto claustrofobica e la conseguenza maggiore di questa sensazione è per me il fatto di entrare e persistere in un’auto strada da sola o con qualcuno che non mi può capire perché minimizza la mia situazione . So che posso fare le statali però non mi dispiacerebbe proprio concedermi la libertà e la leggerezza di poterle utilizzare liberamente senza sudare sette camicie. .ho intuito che si tratta di claustrofobia e mi chiedevo se come l’agorafobia siano curabili. Lei cosa ne pensa?

    • blank cboracchi ha detto:

      Gentile Romina, certamente il problema che descrive mi sembra che possa essere fatto rientrare a pieno titolo nella definizione di claustrofobia. Difficoltà come le sue sono oggi molto frequenti, tanto che i disturbi ansiosi possono essere considerati per certi versi una vera e propria epidemia.
      Se molti si limitano a contrastare i sintomi con un trattamento farmacologico, che spegne l’ansia, ma lascia immutato il nodo personale che la genera, i trattamenti psicoterapici offrono invece una possibilità di minare questo meccanismo alle radici e recuperare delle buone condizioni di vita. Come per molti ambiti, naturalmente, la tempestività dell’intervento diventa determinante: nulla come lasciar agire un problema lo rende poi difficile da eliminare. Nella mia esperienza tuttavia anche persone con una lunga storia di ansia possono ottenere dei buoni benefici e vedere miglioramenti significativi nella loro situazione.
      Non resta che provare…

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