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Ottobre 9, 2015Esiste un modo per combattere i pettegolezzi di cui si è vittima?
Perché si prova gusto a sparlare dei fatti altrui e come nasce un pettegolezzo?
I pettegolezzi sono una cosa strana: tutti dicono di odiarli eppure continuano a farli, non si sa da dove nascano ma li trovi dappertutto, non si sa a cosa servano ma sono durissimi a morire.
Spesso riportati con leggerezza, se non addirittura con un certo gusto, raccolgono talvolta tanta cattiveria da legittimare il detto “ferisce più la lingua della spada” come testimoniato anche da alcuni drammatici casi di bullismo e diffamazione, con persone colpita da quella che è stata chiamata la “macchina del fango”.
Il meccanismo del pettegolezzo è un fenomeno radicato in tutte le culture, ed ha una funzione legata alla costruzione dei legami sociali ed alla definizione delle posizione dei rapporti reciproci: in parole povere una persona parla male a un altra persona di un terzo (non presente) per avvicinarsi di più all’interlocutore, creare un rapporto di complicità a danno dell’altro, che viene abbassato da una presunta o reale posizione di superiorità. Anolli definisce questo processo un “voyeurismo comunicativo”, formula con cui si sintetizza l’eccitazione spesso accompagnata al pettegolezzo stesso.
Il fatto che il contenuto della comunicazione sia vero o meno (e quasi mai lo è) non è importante: le notizie riportate dai pettegolezzi sono spesso “cose sentite dire”, la fonte originaria è non quindi rintracciabile né verificabile, argomento spesso aggirato dal meccanismo mentale “se lo dicono vuol, dire che qualcosa di vero c’è”.
Ma come nasce un pettegolezzo? Il meccanismo è stato finemente studiato negli anni della guerra fredda, epoca in cui la costruzione o distruzione del consenso in modo “non bellico” aveva un’importante funzione strategica.
Si è visto quindi che, anche quando le dicerie partono da dei fatti realmente avvenuti e non sono delle fandonie costruite di sana pianta, si assiste a quattro meccanismi fondamentali: semplificazione, assimilazione, rappresentazione stereotipata e soggettivizzazione.
La semplificazione consiste nella perdita rapida della maggior parte delle informazioni e dei dati reali del fatto.
Il vuoto lasciato da questa perdita di informazioni viene colmata con pezzi recuperati nella memoria per somiglianza con altri episodi ritenuti simili: questo è il processo di assimilazione. In questo modo l’episodio finisce per assumere una forma stereotipata, inevitabilmente lontana dalla realtà: questo è il motivo per cui i pettegolezzi, tranne dettagli trascurabili, assumono spesso dettagli molto simili (basta pensare a quante popolazioni avrebbero rubato o mangiato bambini secondo i vari pettegolezzi nel corso della storia…).
La soggettivizzazione è il contributo spontaneo e personale che ogni narratore aggiunge “sapendo di mentire”, aggiungendo quel tocco personale che trasforma sempre di più gli eventi.
Ma cosa fare quando si è vittima di pettegolezzi?
Quando non è possibile affrontare la cosa facendo spallucce, esistono sistemi utili a combattere le dicerie contro di noi?
Un primo aspetto importante da ricordare (non utile a contrastare il pettegolezzo, ma almeno a migliorare la nostra autostima lesa) è legato alla genesi del pettegolezzo stesso: l’invidia e, quindi, in qualche modo l’ammirazione. Si spettegola su una persona che per qualche modo viene considerata superiore: perché ha un partner, perché riesce meglio in qualcosa, perché raggiunge obiettivi ambiti, ecc.. In sostanza, chi parla male di noi, sotto sotto (ma neanche troppo sotto) vorrebbe essere al nostro posto, vivendo la frustrazione di non esserlo.
In questo senso ritengo utile lanciare una provocazione. Quando noi siamo (magari inconsapevolmente) autori o collaboratori di pettegolezzi: sappiamo che cosa ci rende invidiosi di quella persona? Ci rendiamo conto che stiamo cercando di risolvere il problema peggiorando l’altro invece che migliorando noi stessi?
Veniamo poi al vaccino per contrastare le dicerie.
Se è vero che spesso si assiste al meccanismo paradossale per cui, se una cosa viene negata dal diretto interessato, vuol dire che è vera e lui se ne vergogna, non sempre negare i fatti può essere sufficiente a contrastare una credenza comune. Al contempo, tuttavia, affrontare esplicitamente l’argomento (sempre che si venga a saperlo) può essere utile, sebbene non sempre sufficiente.
I pettegolezzi godono infatti di una caratteristica peculiare: l’epidemicità, sono cioè virali, si diffondono in diversi gruppi con rapidità. Per questo motivo è importante creare una controcorrente informativa: non basta contrastare individualmente la diceria, ma fare in modo che parta una “contro-diceria” di segno opposto, cioè positiva su di noi, un modo di parlare bene sul nostro conto, basato su fatti che noi desideriamo che siano messi in luce e resi noti e che possano valorizzare il nostro punto di vista e le nostre ragioni.
E a quel punto si sa, parafrasando De André, una diceria “non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca”.
Dicendo, stavolta, quello che vogliamo noi.