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Maggio 12, 2017Nel mare magno delle serie televisive, da qualche settimana un titolo si sta facendo largo guadagnando sempre più attenzioni di pubblico e critica: si tratta di “Tredici”, o se si preferisce il titolo per esteso “Tredici ragioni per” (Thirteen reasons why).
La serie, prodotta e trasmessa da Netflix, narra le vicende che hanno portato al suicidio della diciassettenne Hannah Baker, che racconta la propria storia attraverso delle audio cassette su cui ha inciso le proprie… tredici ragioni che l’hanno portata ad uccidersi.
La serie è finita al centro di un ciclone di commenti: alcuni entusiastici, altri critici, ciascuno con la propria schiera di motivazioni.
Data la mia passione per le serie Tv e l’argomento specifico, ho deciso di guardarla con un doppio interesse: da spettatore e da psicologo che da anni lavora proprio a contatto con questi temi. Ho deciso quindi di condividere con voi alcune motivazioni per cui penso che valga la pena di essere vista, e mi è sembrato giusto (e forse non particolarmente originale) individuarne… Tredici!
Un’ultima premessa: essendo l’articolo nelle mie intenzioni un invito alla visione non contiene anticipazioni (o spoiler, se preferite) oltre a quelle già scritte sopra, quindi, leggete tranquillamente senza il timore di rovinarvi la sorpresa…
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Le serie Tv non sono più solo intrattenimento.
Se siete tra coloro che pensano ancora che “le serie tv sono solo telefilm un po’ più lunghi”, è ora di aprire gli occhi. Sempre più serie stanno raggiungendo livelli di raffinatezza e ricercatezza stilistica degne di produzioni cinematografiche di primo livello, e Tredici è certamente uno dei prodotti meglio riusciti.
Se nello sterminato panorama di titoli che affollano schermi e canali certamente molte proposte hanno scarso valore di approfondimento, altre hanno saputo sfruttare al meglio la specificità offerta da questo prodotto narrativo: unendo la fruibilità del video all’approfondimento di un racconto non condensabile in due ore. Tredici da questo punto di vista rappresenta certamente una serie che nasce con lo specifico obiettivo di far discutere, provocare un dibattito (vedi anche il punto 13), e riesce a farlo molto bene, introducendo molti temi e spunti sui quali interrogarsi.
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è una bella serie.
Un altro aspetto non clinico ma “televisivo” che mi permetto di rilevare rispetto a Tredici è l’ottimo impatto che la serie ha sullo spettatore, catturando rapidamente l’attenzione e spingendo a divorare le puntate una dietro l’altra (e in questo, il fatto che su Netflix la visione sia on demand e non vincolata ad un palinsesto, spinge francamente alla bulimia televisiva). Il racconto è accattivante, mischiando efficacemente suspense e sviluppo della storia, da una parte spingendo a proseguire nella visione, dall’altra lasciando tempi per la riflessione su quanto visto. Sebbene Tredici non possa essere considerato un Thriller, spesso il sentimento generato nello spettatore è di quel tipo.
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Non è troppo lunga.
Chi conosce il mondo delle serie TV sa che talvolta gli autori si fanno prendere la mano con racconti-fiume che finiscono per perdersi e diluire il racconto in modo non sempre efficace. In Tredici invece i tempi individuati rappresentano a mio giudizio una buona sintesi per dire molto, dare diversi spunti, senza trascinare lo spettatore in un viaggio infinito. Questo può essere opportuno anche per chi desideri proporre una visione di questo tipo ad un gruppo di ragazzi, una classe, ecc.
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è autoconclusiva.
Virtù rara nel mondo filmografico attuale, in cui perfino al cinema è difficile trovare un film che non si incastri in prequel, sequel e tri/quadri/pentalogie varie… in questa storia ciò che viene aperto viene anche chiuso. Il fatto che si vociferi su una possibile seconda stagione (comunque ancora tutta da confermare e costruire) non toglie il fatto che, volendo, chi lo desiderasse potrebbe benissimo fermarsi al tredicesimo episodio.
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è rispettosa dei temi che tratta: non eccede né concede.
Cominciamo ad entrare più nel vivo della questione: i temi trattati. Certamente gli autori di Tredici hanno deciso di confrontarsi con argomenti scottanti, rispetto ai quali il rischio di spettacolarizzazione o al contrario di eccessiva edulcorazione è frequente. In questo caso si può dire che il punto di equilibrio trovato sembra essere efficace e riuscito. Realismo e rispetto sono dosati sapientemente senza cedere né al voyeurismo né alla banalizzazione del dolore dei soggetti raccontati. Non mancano scene forti, è vero, al contempo va detto che, rispetto a quello che è il panorama medio attuale queste non spiccano certo né per frequenza, né per morbosità, e risultano strettamente connesse ad uno sviluppo narrativo intenso.
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è realistica.
Sebbene ogni rappresentazione preveda sempre di una certa quota di semplificazione, il racconto fatto in Tredici sembra cogliere in modo abbastanza riuscito la complessità degli eventi e dei protagonisti, così come le sfaccettature diverse di ogni personaggio.
Tredici non è Twin Peaks, sebbene alcuni abbiano accostato le due serie, accomunate dall’idea del male che si può nascondere dietro l’apparente normalità. In questa serie tuttavia l’intento degli autori non è intricare un mistero, ma dipanarlo, spiegarlo, entrare in un dramma per comprenderlo e mostrare le ragioni dall’interno.
Le tinte del racconto sono forti, drammatiche, ma nulla è frutto di fantasia o lasciato vago: anche gli episodi più drammatici, come la pianificazione del suicidio o gli eventi più dolorosi, non rappresentano un artificio narrativo forzoso, ma una realtà assolutamente possibile, come purtroppo racconta la cronaca recente e passata. Proprio il realismo di alcune scene, soprattutto quelle relative al suicidio mostrato esplicitamente nell’ultima puntata, hanno fruttato aspre critiche ai produttori (sebbene, a ben vedere, la stessa critica dovrebbe essere rivolta a molte altre serie che esibiscono violenza in modo molto più insensato e gratuito di questa…). Certamente alcune immagini sono forti, incisive: il mio consiglio è di non proporre la visione di questa serie a ragazzi di età inferiore ai 15-16 anni, e anche in questo caso, accompagnarla alla presenza di un adulto ed alla possibilità di un confronto aperto su ciò che viene mostrato.
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Parla di giovani e social network.
Dire che il mondo giovanile di oggi è totalmente diverso da come poteva essere 10 anni fa è talmente banale da risultare lapalissiano. La diffusione dei social network e smartphone nella popolazione sono un dato che ha inciso in modo determinante nella vita delle famiglie, dei rapporti tra le persone e tra le generazioni. Questo cambiamento non ha riguardato solo gli adolescenti, ovviamente, che però incarnano certamente una situazione assolutamente peculiare per il modo in cui questi strumenti sono entrati nella loro quotidianità.
Il rischio maggiore, per chi adolescente non è, è quello di vedere questo rapporto in modo improprio, non comprendendo il senso ed il ruolo che questa “realtà parallela” rappresenta nel mondo di un “nativo digitale”. Chiunque abbia pensato “invece che starsene sul cellulare, che esca con gli amici”, o “avrà finito di buttare via il tempo in quel maledetto telefono”, può aver modo di fare un piccolo viaggio nel mondo di un nativo digitale per scoprire una realtà del tutto estranea a chi è estraneo a questo mondo.
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Parla di adolescenti… e di adulti.
Sebbene la serie sia stata definita un “teen drama”, l’adolescenza è soltanto una delle componenti in gioco nella storia. A differenza di altri film che fotografano solo questa fascia di età, con gli adulti che giocano il ruolo di conviventi indifferenti, in questa storia gli adulti sono protagonisti tanto quanto i ragazzi. Genitori, insegnanti e psicologo (sì, ce n’è anche per noi…) partecipano a quanto accade e vengono messi al centro della questione: osservare la loro evoluzione (o la loro immobilità) rappresenta a mio giudizio uno spunto interessante per chi volesse vedere la serie da questo punto di vista. Come adulti, in quale posizione di porremmo? In che modo affronteremmo una situazione simile?
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Parla di famiglie.
Uno degli aspetti più interessanti trattati da Tredici a mio giudizio è offerto l’approfondimento dei rapporti familiari. Bisogna ammettere che, volendo analizzare con cura questo tema, verrebbe da fare un’inquietante riflessione: tra i casi presentati, il rapporto familiare più riuscito sembra essere quello della famiglia della ragazza suicida, forse l’unica ad avere una relazione aperta e schietta con i genitori. Forse questo rappresenta effettivamente una pecca della sceneggiatura: è davvero possibile che una ragazza con rapporti familiari così positivi commetta un atto del genere, programmandolo, senza cercare aiuto dai genitori?
Questa considerazione non inficia comunque l’apprezzamento per un’analisi non banale dei rapporti familiari nelle molteplici forme che questi possono prendere, soprattutto di fronte alla difficile sfida del passaggio dei figli all’età adulta. La sfida che queste famiglie incarnano è ovviamente quella legata alla comparsa di esigenze nuove, da relazioni che diventano necessariamente più complesse e quindi a maggior rischio di conflittualità, e dalla necessità di ridefinire i legami nella nuova fase di vita.
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Parla di autolesionismo e suicidio.
I temi certamente più scottanti della serie, che è stata anche attaccata da alcuni critici per il modo in cui questo verrebbe trattato e proposto come forma di vendetta, con timori di emulazione annessi. La critica può essere tutt’altro che infondata, se è vero che un effetto simile venne creato dall’uscita del libro “I dolori del giovane Werther”, in conseguenza del quale si registrò un aumento dei suicidi giovanili su base emulativa. Il fenomeno ebbe una rilevanza tale che da allora viene chiamato “Effetto Werther” proprio l’influsso che film e libri possono avere sui comportamenti sociali.
Il tema tuttavia merita certamente di essere approfondito e dibattuto: l’autolesionismo (che non significa necessariamente tentato suicidio, ma che spesso vi è correlato almeno come fattore di rischio) è un comportamento attuato in modo sempre più frequente anche tra i giovanissimi. Credo che mettere in guardia genitori e adulti sulle forme di manifestazione del disagio sia un compito importante. Nel lavoro con scuole e famiglie ho incontrato la tendenza a nascondere o banalizzare forme di autolesionismo anche solo minacciato ma non realizzato come “modo per attirare l’attenzione”. Il rischio è concreto.
Se è vero che l’autolesionismo risulta oggi una forma di espressione del disagio molto più culturalmente accessibile che in passato, al contempo non sempre sono chiari (anche a chi lo pratica) i pericoli connessi con questi comportamenti, non solo perché “un graffio può andare male e finire in tragedia”, ma perché provoca una progressiva disinibizione verso condotte a rischio. Si rendono alcuni comportamenti sempre più possibili. Rendere gli adulti consapevoli di questo appare come un fattore di protezione importante.
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Parla di identità di genere.
A molti potrà sembrare strano, ma esiste la possibilità di parlare di una sessualità diversa senza tratteggiarla automaticamente come un problema. Nel nostro paese parlare di modelli familiari e orientamenti sessuali diversi da quelli tradizionali significa ancora andare a toccare un tema scottante per molti, ma la realtà attuale prevede forme di legame sempre più variegate e differenti, la maggior parte delle quali funzionali.
In questo, rispetto al panorama italiano, una serie come Tredici (ma non è l’unica a proporre il tema con questo taglio) rappresenta certamente un’avanguardia. L’aspetto interessante è che questo argomento viene tematizzato senza essere posto al centro della questione: ciò offre la possibilità di discuterne (anche evidenziando oggettive difficoltà che può incontrare chi vive forme di relazione non tradizionali) senza per questo stigmatizzare il discorso e offrendo un’occasione di riflessione.
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Parla di violenza e responsabilità.
Uno dei problemi quando si parla di temi come il bullismo o la violenza sociale, è che i casi a cui ci si riferisce sono sempre inevitabilmente estremi: aggressioni, omicidi, pestaggi, ecc. Un aspetto importante, invece, messo in luce dalla serie è quello che, citando forse in modo un po’ azzardato, ma non improprio, Annah Arendt, potremmo definire “la banalità del male”: cioè quel male, quella violenza che viene messa in atto senza rendersene conto, minimizzandola, rendendola ordinaria, aggirando le proprie responsabilità.
Nello svolgimento delle puntate, soprattutto nelle prime puntate, sono poche le azioni esplicitamente violente che incontriamo, mentre la maggior parte dei casi rientrano in una serie di “piccole cattiverie sottovalutate” nelle quali in fondo è facile riconoscersi, che non sembrano così straordinarie, le cui ripercussioni possono tuttavia essere enormi.
Ciò che la serie mette in luce, e bene, è che, come recita il vecchio motto: “se non sei parte della soluzione, sei parte del problema”, e il problema è proprio sentirsi responsabili di ciò che facciamo o verso ciò a cui assistiamo. Come già scritto, la serie è stata accusata di incitare al suicidio: un’accusa che trovo francamente ingiusta.
Lo spettatore non viene spinto a riflettere sull’opportunità del suicidio, ma sulla necessità di prendere una posizione attiva di fronte al male a cui si assiste: tredici persone avrebbero potuto fare la differenza, sarebbe bastato che uno solo di loro agisse diversamente per dare un finale diverso alla storia. Questa a me pare una sollecitazione importantissima, soprattutto in un’epoca in cui la quota di odio espressa contro gli altri raggiunge vette preoccupanti. Recuperare il senso di opporsi a questo atteggiamento per restituire un senso di vicinanza e solidarietà umana diventa una lezione necessaria per giovani e adulti.
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Tredici. Oltre i perché…
Un particolare che a molti è sfuggito, ma che ho trovato molto interessante è che, contemporaneamente alla serie “Tredici”, sia stato pubblicato un documentario dedicato ai temi sollevati realizzato dai produttori della serie, con considerazioni degli autori, registi, interpreti e psicologi e chiamato “Tredici – Oltre i perché”. Il fatto stesso che sia stato ritenuto opportuno un accompagnamento alla visione, o un approfondimento specifico per la serie, dimostra come l’idea stessa dei produttori fosse quella di offrire qualcosa che di più di un semplice intrattenimento, proponendo anche stimoli e riflessioni per approfondire in modo critico e non banale quanto messo in scena.
Personalmente ritengo che il commento realizzato dai registi e gli interpreti offra un’importante e specialissima occasione per riprendere i temi più forti e scioccanti della serie esorcizzando in parte l’impatto delle scene più crude e sentendosi coinvolti nella riflessione attraverso le voci e i volti che ci hanno accompagnato nel corso della storia, facilitando il confronto anche per chi teme magari di non trovare le parole per affrontare domande o dubbi nati dalla visione.
Come si sarà inteso, ritengo che Tredici rappresenti sia una serie che meriti di essere vista e ragionata, per mostrare la possibilità di cambiare le cose a partire dalle scelte di ogni giorno.